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129•2023
Biografie di vasi
Il Vaso di Archemoros nella documentazione dell’Archivio Storico e della Fototeca dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma
1Nello studio della ceramica figurata si è affermato in questi anni un approccio multidisciplinare finalizzato a perseguire un’indagine che, oltre agli aspetti più strettamente collegati alla disciplina archeologica, come l’analisi tecnico-produttiva, la lettura iconografica, l’esame del contesto di rinvenimento, è indirizzata a ricostruire la vita del manufatto dopo la sua scoperta. Gli elementi da considerare nel tracciare la biografia moderna di un vaso sono molteplici: le vicende relative alla sua scoperta e alla sua acquisizione in collezioni e musei, la storia conservativa ed espositiva, gli studi a esso dedicati, come anche la documentazione grafica e fotografica attinente.
2Infatti nell’approcciarsi ai materiali antichi, in età moderna si sentì da subito l’esigenza di produrne una traduzione grafica finalizzata a offrire una documentazione per immagini che, inevitabilmente, condizionò la lettura e la percezione del manufatto.
3Le raccolte d’immagini di queste opere contribuirono d’altronde in maniera significativa a sensibilizzare e appassionare all’antico, incidendo sulla nascita di una disciplina archeologica e storico-artistica.
4Accanto a una storia dell’arte attraverso il racconto, si sviluppò una storia dell’arte attraverso le immagini: precursori di tale progetto furono nel Seicento i cosiddetti ‘Musei di Carta’, raccolte di disegni dei realia archeologici prodotte con il fine di archiviare ogni antichità conosciuta[1]. È nel Settecento che, in concomitanza del formarsi delle grandi collezioni vascolari da parte dell’aristocrazia europea e di uno straordinario interesse per la ceramica figurata, vengono dati alla stampa impegnativi e onerosi volumi dedicati ai vasi antichi, accompagnati da tavole con la riproduzione degli esemplari Nel 1764 Johann Joachim Winckelmann pubblicava “Geschichte der Kunst des Alterthums”: a lui si deve l’aver avviato il processo di riconoscimento della grecità dei vasi, considerati sino ad allora etruschi[2], anche se nei suoi scritti continuò ad alternare la definizione di arte etrusca, greca e greco-campana, a dimostrazione dell’acceso dibattito sul tema. La visione autoptica della Collezione Hamilton lo convinse dell’importanza storico-artistica dei vasi figurati come testimonianza ed espressione della pittura greca, paragonabili, a suo dire, alle opere dei maestri rinascimentali; in particolare, il Winckelmann sottolineava il disegno semplice ed elegante di quelli attici[3]. Ed è proprio nella forma disegnativa che i vasi furono pubblicati nel XVIII secolo, fatto che contribuì enormemente all’accrescimento del loro apprezzamento e del valore economico. Nel 1767 uscì il primo volume di “Antiquités étrusques, grecques, et romaines tirées du Cabinet de M. Hamilton”. L’autore fu Pierre Françoise Hugues, barone d’Hancarville, militare e antiquario ambizioso; Sir William Hamilton, ambasciatorie inglese a Napoli e proprietario di una grande collezione vascolare formata dai reperti rinvenuti nelle sepolture[4], aveva progettato un suntuoso catalogo in quattro volumi, capace di far crescere la nomea della sua raccolta e quindi il valore economico. I commenti ai vasi, che avrebbero dovuto, nelle intenzioni iniziali, essere redatti dal Winckelmann, erano accompagnati da tavole di grande formato e a colori, di cui conosciamo i nomi di disegnatori e incisori, che segnarono un importante nuovo corso nella pubblicazione dei disegni dei vasi[5].
5Accanto a riproduzioni grafiche e pittoriche di notevole impegno artistico, spesso finalizzate a dare lustro e aumentare il valore delle collezioni vascolari, venne elaborata nel XIX secolo un’altra tipologia di disegni, il cui scopo principale era quello di fornire una documentazione utile allo studio del singolo vaso, o meglio delle scene raffigurate su di esso, e in seconda istanza fornirne una immagine pubblicabile.
6L’Archivio Storico dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma (di seguito abbreviato DAI Roma) costituisce una fonte essenziale di tale produzione con la sua collezione di disegni e la raccolta di lettere dei primi corrispondenti dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica[6]. L’Instituto nacque il 21 aprile 1829 come fondazione privata, sotto il protettorato del re di Prussia, con l’obiettivo di informare sui rinvenimenti e sugli studi dei monumenti antichi mediante la pubblicazione delle sue riviste[7]. A tale scopo si avvaleva di soci (ordinari e onorari) e di corrispondenti[8] ‒ studiosi di antichità, collezionisti, scavatori e mercanti d’arte ‒ che da tutta la penisola italiana fornivano pronta notizia e descrizione dei ritrovamenti archeologici. La comunicazione avveniva attraverso le lettere che erano inviate a Roma, al segretario o ai membri dell’Instituto, talvolta accompagnate dalla riproduzione grafica del manufatto in questione, in alcuni casi richiesta e commissionata dall’Instituto stesso, utilizzata per visionare e studiare il reperto. Degli esemplari degni di nota e giudicati più interessanti venivano quindi realizzati disegni tramite incisione (intagli in rame), pubblicati nei volumi dei Monumenti Inediti che accompagnavano le descrizioni e le analisi esegetiche edite negli Annali e nei Bullettini[9].
7La documentazione raccolta nell’Archivio evidenzia, già a partire dai primi decenni di attività dell’Instituto, il particolare interesse suscitato dalla ceramica figurata, attestato da circa 1200 disegni, pari a un quinto dell’intera raccolta[10], e da un numero cospicuo di lettere inviate a Roma dai corrispondenti. Tale propensione, che gli valse l’epiteto di “Instituto de’ vasi”[11], riflette l’interesse generale per questa classe di materiale manifestatosi dalla seconda metà del Settecento e nell’Ottocento, alimentato da un significativo fenomeno collezionistico.
8Come ha messo ben in evidenza Marina Unger[12], l’Archivio del DAI Roma fornisce, grazie ai numerosi esemplari conservati, una panoramica dettagliata della tipologia dei disegni eseguiti a partire dagli anni ’30 del XIX secolo. Un primo gruppo non offre nessuna informazione sul supporto (il vaso), né riguardante la forma, né il colore, ma si concentra solo sulla scena raffigurata, con una sorta di srotolamento e appiattimento della rappresentazione. In alcuni casi, la resa grafica della scena presenta a margine una riproduzione ridotta del vaso accompagnata, a titolo esemplificativo, dal disegno degli elementi ornamentali. Tale variante è la più frequente tra i disegni dell’archivio, in particolare adottata per quelli commissionati direttamente dall’Instituto di Corrispondenza Archeologica. Molto rari sono invece i documenti grafici in cui la tridimensionalità del vaso è stata resa, restituendo forma, pittura e colorazione, che quindi dimostrano un’attenzione non solo concentrata sulla scena figurata, ma anche sul manufatto[13].
9Nel corpus di disegni appartenenti alla seconda tipologia, un ruolo rilevante è svolto dai vasi figurati provenienti dall’antico centro peuceta di Ruvo di Puglia, cittadina nell’attuale provincia di Bari e nell’allora Regno di Napoli, divenuto nel 1816 Regno delle Due Sicilie, che fu al centro una frenetica attività di scavo e di commercio di reperti, in un mercato antiquario solo parzialmente sorvegliato dai decreti emessi dall’Autorità centrale[14]. Il fenomeno prese il via dal 1810 a seguito del ritrovamento casuale, da parte di Rinaldo Di Zio, di una tomba con ricco corredo vascolare che entrò a far parte della collezione di Carolina Murat e che ebbe grande risonanza nell’ambiente collezionistico. Infatti nel 1817 uno dei vasi ruvesi, in quel tempo già in Baviera, comparve nella pubblicazione di Dubois-Maisonneuve “Introduction a l’étude des vases antiques d'argile peints, vulgairement appelés Etrusques: accompagnée d'une collection des plus belles formes, ornées de leurs peintures; suivie de planches la plupart inédites pour servir du supplément aux différentes recueils de ces monuments”[15].
10Già nella prima annata del Bullettino del 1829, Eduard Gerhard, sottolineando le importanti scoperte vascolari ruvesi, esprimeva la necessità di avere informazioni delle ricerche fatte in questo territorio, corredate da disegni[16].
11Di certo, quindi, parallelamente all’interesse commerciale che investì tali oggetti, si sviluppò quello scientifico, con un’attenzione alle storie narrate attraverso le immagini. Gli studiosi si dedicarono soprattutto a esse, impegnandosi principalmente nella loro interpretazione ed esegesi, alla luce del mito greco e delle fonti di cui erano eruditi[17]. Non mancavano note riguardanti la qualità tecnica del manufatto sempre, però, condizionata dalla parte figurativa. Marginali erano invece le indicazioni relative al luogo e all’occasione del ritrovamento, spesso citati nell’introduzione alla trattazione del vaso; la sepoltura a cui apparteneva era talvolta descritta sinteticamente e poca rilevanza era data agli altri oggetti individuati nella tomba, se non ai pezzi di eccellenza, tanto che oggi, nonostante gli sforzi in tal senso, risulta spesso molto complicato ricostruirne la composizione[18].
12Il disegno, tratto a matita direttamente sui vasi e quindi lucidato a inchiostro[19], costituiva la documentazione visiva principale e spesso esclusiva da cui i soci e i corrispondenti dell’Instituto traevano le loro descrizioni e considerazioni. Gli studiosi, infatti, raramente avevano la possibilità di visionare direttamente l’esemplare, di proprietà di collezionisti e di mercanti d’arte, e basavano la loro analisi sulla riproduzione grafica che avevano a disposizione, richiesta dall’Instituto e inviata a Roma.
13Indubbiamente la tipologia del medium grafico adottato condizionò non solo la lettura del manufatto ma l’approccio allo studio dei vasi: le scene figurate, realizzate con la tecnica a figure rosse e con la componente pittorica delle sovraddipinture, distribuite nelle diverse parti del vaso secondo un sistema semantico specifico e armonizzate con la sinuosità della forma, risultavano appiattite in un fregio continuo senza indicazione dei lati, della posizione delle anse, il tutto ridotto a una visione bidimensionale e a una restituzione disegnativa[20].
Il Vaso Archemoros
14Caso studio che, grazie alla significativa documentazione conservata presso l’Archivio storico del DAI Roma, mette ben in luce le dinamiche di realizzazione dei disegni e le modalità di acquisizione da parte dell’Instituto, è quello relativo al “Vaso di Archemoros” (Fig. 1).
15Si tratta di un cratere a volute a figure rosse apulo, conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (di seguito abbreviato MANN), realizzato dal Pittore di Dario tra il 340 e il 330 a. C. e considerato uno dei capolavori del ceramografo[21]. Il nome del vaso deriva dalla scena principale raffigurata sul corpo, che narra della morte di Ofelte, il fanciullo figlio dei re di Nemea che, per distrazione della nutrice Ipsipile, viene stritolato da un serpente. Il mito, soggetto di una tragedia di Euripide, è gestito in due scene distinte non unite sintatticamente e risente di una forte connotazione teatrale[22]. Nella parte centrale è raffigurato un dialogo all’interno del palazzo reale di cui è protagonista Ipsipile che, attraverso la gestualità del corpo, sembra giustificarsi di fronte a un’addolorata principessa Euridice. Accanto a quest’ultima sta Anfiarao, capo della spedizione degli eroi argivi diretti a Tebe contro Eteocle, che presagisce il destino glorioso del fanciullo Ofelte, divenuto dopo la morte “Archemoros”, “principio del destino”, e per il quale verranno fondati i Giochi Nemei (si tratta di un mito eziologico). Nella parte inferiore del vaso è rappresentato Ofelte senza vita sul letto funebre, accudito dalla balia e dal pedagogo, mentre gli eroi argivi portano gli oggetti utili per la cerimonia funebre. L’altro lato del vaso raffigura Eracle e Atlante nel giardino delle Esperidi (Fig. 2). Il collo presenta sul lato B un tiaso dionisiaco, mentre sull’altro lato la fuga sul carro di Pelope e di Ippodamia inseguiti da Enomao (Fig. 3. 4). Sul piede, staccato dal vaso, vi è un tralcio fiorito che si sviluppa da una figura femminile fitomorfa (Fig. 5).
16Il cratere fu rinvenuto in una tomba a semicamera dissepolta nell’aprile del 1834 nella parte meridionale dell’abitato di Ruvo di Puglia, nell’attuale Corso Carafa[23], insieme ad altri due vasi identificati con certezza, ora al MANN[24], ed entrò in possesso del cavalier Antonio Pizzati, medico appassionato dell’antico, e di Giovanni Antonio Lamberti, militare, mercante d’arte attivo sulla piazza ruvese e napoletana, proprietari di una raccolta vascolare appositamente assemblata per la vendita[25]. La collezione, che comprendeva il Vaso di Archemoros e altri undici esemplari ceramici, fu acquistata dal Real Museo Borbonico di Napoli nell’agosto del 1835, con una vicenda molto interessante ed esemplare riguardo alla gestione da parte del governo centrale del mercato antiquario, tollerato per interessi propri e dei sudditi coinvolti[26].
17Giovanni Antonio Lamberti intratteneva rapporti e comunicazioni con l’Instituto di Corrispondenza Archeologica che, come detto, anche grazie ai contatti privilegiati con i mercanti d’arte oltre che con i corrispondenti sui territori, era aggiornato dei ritrovamenti archeologici più significativi in modo da poterne dare notizie e alimentare il dibattito scientifico. Lo scopo dei mercanti nell’intrattenere i rapporti con l’Instituto era, d’altra parte, quello di dare visibilità alla propria “merce” e aumentarne il valore di vendita[27]. Il Lamberti dava comunicazione all’Instituto dei vasi più interessanti in suo possesso, fornendo un elenco dettagliato numerato con una definizione e un’accurata descrizione della scena, che prevedeva anche una parte interpretativa del mito, probabilmente suggerita dal Pizzati, che aveva competenze artistiche[28]. Di questi esemplari ceramici proponeva quindi di fare realizzare i lucidi che poi erano inviati a Roma attraverso Pietro Bellotti, “agente onorario” dell’Instituto, residente a Napoli in via Monte Oliveto.
18L’epistolario, conservato al DAI Roma, di Giovanni Antonio Lamberti indirizzato a Emil Braun, primo segretario dell’Instituto, documenta le dinamiche di tali rapporti, offrendo importanti notizie su come venivano commissionati ed eseguiti i disegni dei vasi, che costituivano quasi sempre l’unica fonte iconografica che Braun ed Eduard Gerhard usavano per studiare e pubblicare le scene, evidentemente senza nessun interesse per il manufatto, ma solo per le immagini e i miti rappresentati.
19La notizia del ritrovamento del Vaso di Archemoros apparve nel Bullettino in una segnalazione nell’agosto del 1834 firmata MTP, sigla dietro alla quale si celava Theodor Panofka, socio fondatore dell’Instituto e appassionato specialista di vasi[29]: lo si diceva “appartenente al maggior Lamberti di Napoli” e se ne sottolineava l’eccezionalità, definendolo “tra i più ragguardevoli monumenti ritrovati a Ruvo con 70 figure e due scene dipinte”. Dalla lettera del 14 novembre[30], indirizzata dal Lamberti a Emil Braun, sappiamo che in estate Eduard Gerhard aveva visionato a casa del Lamberti a Napoli i vasi della sua raccolta, tra i quali anche quello dell’Archemoros, e aveva chiesto che ne fossero eseguiti i lucidi dal noto disegnatore Andrea Russo, che verrà spesso nominato nello scambio epistolare, testimonianza preziosa e non frequente delle figure dei disegnatori in questo periodo di grande fervore (Fig. 6)[31].
Napoli, 14 novembre 1834
Al Sig. Prof. Braun.
Pregiatissimo Signore, il Signor Gerhard,
con suo foglio del 31 agosto scorso mi fa palese il suo desiderio di avere i disegni dei vasi da lui osservati in mia casa e che gli avessi fatti eseguire dal noto disegnatore don Andrea Russo. Fu tale premura incalzata dalla lettera di 30 settembre ultimo per cui mi feci un dovere di subito chiamare il detto artista ad eseguire tali disegni che ha già portato a fine e come che l’artista mi ha accertato che il sig. Gerhard avea convenuto pagarli a carlini [32] per ciascuna figura, io gli ho soddisfatta la somma corrispondente a tenore di tale tariffa, tenendo presso di me a sua disposizione tanto i disegni in carta inglese che i corrispondenti lucidi…
20La lettera continua con una indicazione specifica del prezzo dei disegni, regolato puntualmente dal numero di figure di cui era composta la scena del vaso. Oltre al cratere di Archemoros, di cui si segnalano le 76 figure, vennero tratti a lucido dal Russo anche gli altri due vasi provenienti dalla stessa sepoltura e in possesso dei soci Pizzati e Lamberti, ovvero il “vaso ad incensiere” (loutrophoros), con “il fatto di Tereo con Progne e Filomela”, e il vaso “a tromba” (anfora), con soggetto interpretato inizialmente come Crise che riscatta la figlia Criseide al campo di Agamennone, poi riconosciuto dal Gerhard come “Issipile minacciata da Licurgo ed Euridice parenti dell’infelice Archemoro e sollevata da Anfiarao e i suoi compagni”[33]. Apprendiamo da una successiva lettera del Pizzati del 2 dicembre che a quella data furono consegnati da Pietro Bellotti i disegni degli ultimi due vasi ma non quelli dell’Archemoros, perché non autorizzati dall’Instituto; fatto confermato da una precedente missiva indirizzata in data 27 novembre dal Lamberti a Eduard Gerhard, in cui si spiegava anche che, per la fretta di consegnare i lucidi, non veniva inviato quello di Archemoros, di cui era stato fatto solo il disegno della parte postica senza il collo, e che sarebbero servite altre due giornate di intenso lavoro per ultimarlo[34].
21Da due lettere dell’11 dicembre 1834 indirizzate a Emil Braun, sappiamo che in quella data il disegno dell’Archemoros fu consegnato all’Istituto sempre tramite il Bellotti. Come scriveva il Lamberti “l’intero disegno è stato realizzato in cinque pezzi distinti”. I singoli disegni furono eseguiti a rilievo a matita e quindi rilucidati e contornati su carta inglese; quest’ultima operazione fu realizzata non da Andrea Russo, ma da un disegnatore detto più esperto e preciso. Nella seconda lettera[35] il Lamberti, lamentandosi del ritardo del rimborso del pagamento dei lucidi da parte dell’Instituto, offre nuovamente notizia dei costi dei disegni che venivano pagati a figura, da intendere come singolo elemento figurato: infatti fa notare che il disegnatore aveva fatto passare per figura “anche i più piccoli accidenti per cui ogni disegno veniva molto a costare”, senza fare alcun risparmio. Il costo del disegno di ogni figura andava da 20 a 30 grana.
22L’Archivio del DAI Roma conserva i disegni menzionati nell’epistolario che, attraverso il racconto vivo dei protagonisti dell’operazione, fornisce le motivazioni di alcune scelte nella selezione delle scene tratte a lucido e ugualmente offre testimonianza della tecnica adottata dai disegnatori.
23Tre sono quelli dedicati alla raffigurazione del piede, parte staccata dal corpo più facilmente manipolabile nell’operazione di trarre il disegno.
24La prima tavola (Fig. 7)[36] è costituita dai due disegni a rilievo tracciati a matita su velina e incollati su carta. Il primo parte dalla figura femminile alata, che si trova al centro del tralcio vegetale, e prosegue seguendone lo sviluppo verso destra. È tracciato il profilo delle immagini ma il disegnatore non indugia sulla resa interna dei singoli elementi (ad esempio le penne delle ali, i particolari dei fiori), ad eccezione delle foglie di acanto che costituiscono il gonnellino del personaggio alato, di cui sono tratteggiati i particolari. Il secondo rilievo, incollato al rovescio nel registro inferiore, è il proseguo del tralcio con il particolare del leprotto in corsa. Per indicare che la scena è continua, si introducono due gruppi di tratti orizzontali tracciati ai margini dei due disegni. Si tratta verosimilmente del lavoro di Andrea Russo, realizzato facendo aderire la velina sul piede; la forma svasata e l’andamento circolare dello stesso, persi totalmente nel disegno appiattito, costrinsero il disegnatore a dividere in due veline distinte il rilievo. Sovrapponibile a quest’ultimo è il lucido (Fig. 8)[37] in cui il motivo figurativo è realizzato correttamente in un unico fregio continuo. Si nota l’accuratezza della resa dei dettagli delle figure e l’introduzione della decorazione complementare del fregio a ovoli e a onde correnti poste a limitare il motivo, a titolo esemplificativo. Come di consueto il disegno non reca la firma dell’autore che è da ritenersi “il disegnatore più esperto e preciso” incaricato di rilucidare a inchiostro il disegno, partendo da quello di Andrea Russo, e contornarlo su carta inglese.
25La terza tavola (Fig. 9)[38] è accurata ed elegante ma non pienamente fedele all’originale nelle dimensioni, con l’introduzione di modifiche da parte dell’autore. Nuovamente la raffigurazione è gestita in due disegni distinti: nel primo, incollato nella parte superiore del cartoncino, è raffigurato lo sviluppo a destra del tralcio rispetto alla donna fiore, con il particolare della lepre in corsa. A lato della scena, in bella grafia tracciata con l’aiuto di un rigo, è scritto: “Figurato del piede dalla parte postica”. Il secondo disegno è dedicato alla donna fiore rappresentata perfettamente al centro della scena con sviluppo dei tralci ai lati. A lato, sempre in bella grafia tracciata con l’aiuto di un rigo: “Figurato del piede dalla parte nobile”. Il fregio a ovuli e a onde correnti di chiusura in alto e in basso è disegnato solo parzialmente, per attestare il motivo, chiuso in due binari tracciati con righello; nello spazio tra i due disegni è indicato il fregio posto in basso per il primo, in alto per il secondo, in cui convivono entrambi i motivi. In basso a destra si legge, con una grafia diversa rispetto a quella delle didascalie: “Piede del vaso dell’Archemoro/ cav. Lamberti 30/11/1835”.
26Anche per le scene del collo si conservano presso l’Archivio del DAI Roma il disegno a contatto eseguito dal Russo e la rielaborazione realizzata dal secondo disegnatore che, su due tavole distinte, lo rilucidò e lo contornò su carta inglese. In una stessa tavola (Fig. 10)[39] sono montate le veline realizzate dal Russo ricalcando le figure delle scene dipinte sul collo, una sopra l’altra con scritta in corsivo “parte tortile del vaso”, a indicare la collocazione sul collo, mentre la pertinenza a uno dei due lati è data dalla scritta “parte ignobile del vaso” e “parte nobile del vaso”. Nel disegno del lato B con scena di tiaso dionisiaco, le teste dei due satiri, interessate da una grande lacuna, sono invenzione del Russo che le integrò nella scena applicando due pecette[40]; così frutto d’invenzione è il treppiede che uno dei due satiri regge con la mano destra, di cui oggi non si conserva traccia nel cratere, e che è riproposto nella sua versione a lucido e inchiostro su tavola singola, realizzata ricalcando la bozza della velina, abbellendola con particolari e con l’introduzione della decorazione complementare a titolo esemplificativo (Fig. 11)[41]. Sta di fatto che il Braun nella pubblicazione del Bullettino del 1835, su cui ritornerò, descrivendo il vaso, non espresse nessun dubbio riguardo all’autenticità di questa parte, evidenziando quanto il medium grafico abbia condizionato l’analisi del manufatto, considerazione che vale in generale per lo studio della ceramica figurata nel contesto storico in esame. Il disegno a lucido della “parte nobile del vaso” (Fig. 12) risulta molto curato nell’esecuzione e nei dettagli, con anche l’introduzione del colore ad acquarello per la resa del parapetto delle bighe su cui sono in fuga Peleo e Ippodamia e gli inseguitori Enomao e Mirtilo. Il particolare coloristico esistente nel vaso, i fregi a ovoli e a motivi subcircolari contenenti palmette e rosette alternati a bucrani, non rilevati dal Russo nelle sue veline e invece tracciati nei disegni a lucido, attestano la visione diretta del vaso da parte dell’artista.
27Non sono invece conservati nell’Archivio del DAI Roma i lucidi delle scene raffigurate sul corpo, ma si custodiscono le sole due tavole attribuibili al disegno a contatto eseguito dal Russo a matita (Fig. 13. 14)[42]. L’ampiezza delle scene e l’andamento curvilineo del vaso indussero il disegnatore a operare per mezzo di diversi ritagli poi montati su cartoncino: in particolare, si nota nel fregio di animali che si articola sotto la raffigurazione dei funerali di Archemoros, là dove il cratere va a convergere nel piede, collocazione complicata per operare, la numerazione delle singole pecette per facilitare l’operazione successiva di assemblaggio sul cartoncino (Fig. 15).
28L’assenza dei lucidi relativi a queste grandi porzioni del cratere potrebbe essere stata motivata dall’alto costo di realizzazione da parte del disegnatore, condizionato dal numero cospicuo di figure ovvero singoli elementi figurativi.
29Ad aggiungere un altro tassello alla storia sappiamo che i lucidi delle raffigurazioni della scena con l’episodio dei funerali di Archemoros e di Eracle nel giardino delle Esperidi furono eseguiti da Andrea Russo ma non consegnati all’Instituto. Infatti insieme al lotto di vasi, Pizzati e Lamberti vendettero al Real Museo Borbonico anche i disegni degli stessi “tratti a cura dei venditori”, come si evince dalla perizia redatta dalla commissione incaricata, costituita dal direttore Michele Arditi, da Francesco Maria Avellino e dagli antichisti Angelo Antonio Scotti e Giambattista Finati, inviata al Ministro degli Affari Interni del Regno, Nicola Santangelo[43], e dal fascicolo relativo all’acquisto dei vasi[44]. Purtroppo dei disegni non si conserva traccia nel dossier, ma nell’Archivio Disegni del MANN ne rimane un’altra importante testimonianza: le tre “stampe controfondate”, ovvero le prove d’incisione relative ai lati A e B del cratere, eseguite da Carlo Biondi sui disegni di Andrea Russo (come scritto a mano sui due documenti), che recano la data del 30 settembre 1850 (lato B) e del 31 maggio 1851 (lato A) (Fig. 16. 17)[45]. Le raffigurazioni delle singole parti del cratere sono appiattite in sequenza dall’alto verso il basso, a partire dalle scene del collo sino al fregio a meandro di chiusura dei soggetti principali. Una terza stampa fu incisa invece da Raffaele Estevan, datata al 16 ottobre 1850 come riportato nella prova[46]: si vede nella parte superiore la rappresentazione dell’intero cratere, completo nella forma e nelle pitture di tutte le sue parti, compreso il lato sotto le anse, con la sua elegante e articolata composizione di palmette. Nella zona inferiore della tavola è riportato il fregio continuo con animali, qui diviso in due registri sovrapposti, che occupa la porzione terminale del corpo del vaso, a cui segue il disegno del piede[47]. Sulle prove è scritto “si sono tirate 50 copie per l’autore della memoria” (Fig. 18). L’autore in questione era Bernardo Quaranta, artefice della dissertazione “I funerali di Archemoro rappresentati sopra un vaso greco di creta figurata del Real Museo Borbonico”, letta alla Real Accademia Ercolanense l’11 gennaio 1838, edita nelle Memorie dell’Accademia nel 1852[48]. Le prime due tavole pubblicate nell’articolo recano le scritte in basso a sinistra “Andr. Russo dis.”, a destra “Carlo Biondi inc.”, la terza in basso a destra “Raff.Estevan inc., Andr. Russo dis”. Fatto certamente interessante è che nelle stampe controfondate, e quindi nelle incisioni relative, non risultano presenti le integrazioni delle figure dei satiri (collo lato B) e di Ippodamia ed Enomao (collo lato A), testimoniate invece dai disegni conservati al DAI Roma.
30I disegni forniscono, infatti, informazioni relative allo stato di conservazione del vaso al momento dell’esecuzione della documentazione grafica, quindi nel periodo che intercorre dalla sua scoperta nell’aprile del 1834 alla vendita al Real Museo Borbonico nell’agosto del 1835, fino al restauro eseguito nel 1840. Trovato in precarie condizioni, fu ricomposto e restaurato a Ruvo di Puglia, certamente per renderlo appetibile sul mercato antiquario, con integrazione disegnative mimetiche finalizzate a mascherare le lacune e le fratture[49]. Il Russo nel disegno segnalò tali integrazioni, in particolare quella che interessa il lato sinistro della scena principale con i funerali di Archemoros, le cui figure sono tracciate solo nella sagoma del profilo. Espediente ben comprensibile allo sguardo degli studiosi, tanto che il Braun nel Bullettino del 1835 scriveva: “cotale donna (scilicet la fanciulla che copre il corpo di Ofelte con l’ombrellino) è seguita da due altre persone, intorno le quali non spenderemo parola, siccome modernamente ristaurate”[50]. Si può altresì segnalare la totale assenza, nella documentazione grafica analizzata, della forma del vaso (comprensiva di anse a mascheroni), della disposizione delle raffigurazioni in esso, dell’elegante e articolata composizione di palmette che si sviluppa sotto le anse.
31Grazie ai disegni giunti all’Instituto di Corrispondenza Archeologica, Emil Braun un anno dopo poté quindi descrivere e pubblicare il vaso nel fascicolo di dicembre 1835 del Bullettino, nella sezione “Monumenti” in un articolo dal titolo “La morte di Archemoro. Dipintura d’un vaso fittile già del signor cavaliere Lamberti, acquistato dal Real Museo Borbonico”[51], privo di documentazione grafica di cui era annunciata la pubblicazione nei “Monumenti Inediti” dell’anno successivo[52].
32Il Braun, definendo il cratere “magnifico vaso”, specificava che “fu concesso trarre disegno per cortesia del sig. cav. Lamberti quando ne era possessore fra una copiosa e squisita collezione d’altre stoviglie provenienti dagli scavi condotti per di lui conto nei dintorni di Ruvo”. Al momento della pubblicazione infatti, come ricordava[53], l’esemplare insieme all’intera raccolta di 12 vasi era ormai in possesso di Ferdinando II ed esposto pubblicamente al Real Museo Borbonico nella sala dei vasi italo-greci, ancora con il cattivo restauro realizzato a Ruvo e in attesa dell’intervento che Domenico Fortunato, sotto la direzione di Raffaele Gargiulo, effettuerà nel 1840[54]. Braun ne descrive la forma: “il vaso è della forma di quelle anfore che hanno i manichi inalzati al dissopra dell’imboccatura, ed è alto 1,36 m sino all'orlo, e 1,60 m fin dove giunge il superiore confine delle anse”, dati non certamente acquisiti dai disegni ma verosimilmente da una visione diretta nel museo napoletano[55]. Stessa osservazione vale per l’attenzione rivolta alle anse a mascheroni: “Dalle spalle all'orlo s’innalzano ben disposti i manichi, ciascuno dei quali nell’inferiore attaccatura si divide in due teste di cigno, e nella superiore racchiude in mezzo alla voluta due teste umane in rilievo con piccoli pilei in capo; cosicché da ogni banda del vaso si mostrano i due volti umani al dissopra e le due teste di cigno al dissolto”[56].
33Il Braun procedeva quindi con l’ampia trattazione delle scene principali in cui alla dettagliata descrizione si accompagnava l’analisi mitico-interpretativa, anticipate da quella relativa al piede e alla parte inferiore del corpo con teoria di animali, che sappiamo ampio spazio avevano trovato nei disegni. Il cratere venne quindi pubblicato due anni dopo dal Gerhard che vi dedicò un intero trattato[57]; l’incisione delle scene di entrambi i lati del vaso, montate in sequenza in due tavole distinte, furono edite nei “Nouvelles annales. Monuments inédits” del 1836 (tavole V e VI), a cui successivamente rimandò come riferimento grafico anche Heinrich Heydemann, nel suo catalogo dei vasi della raccolta del Museo Nazionale di Napoli stampato nel 1872[58].
34Dalla fine dell’'800 la fotografia andò progressivamente a sostituirsi al disegno nel documentare i manufatti ceramici[59]. La Fototeca del DAI Roma conserva un’importante raccolta di scatti relativi anche alla ceramica figurata, che dimostrano l’interesse per questa classe di materiale nella storia degli studi del Novecento, quando la fotografia diventò il nuovo medium e strumento di studio. Con l’obiettivo di avere un corpus quanto più possibile completo, furono fatte realizzare dall’Istituto Archeologico Germanico campagne fotografiche e, contestualmente, furono acquistati scatti da altri archivi[60]. Del Vaso di Archemoros si conserva una fotografia del 1930, comprata dall’Archivio Alinari, con il particolare di Helios, Atlante e le Esperidi[61]. Risalenti sempre agli anni ‘30 del Novecento sono due scatti che ritraggono il cratere di sbieco, in modo da documentarne la parte decorativa sotto l’ansa sinistra, eseguiti da due diversi autori[62]. Osservando la documentazione, si evidenzia come la fotografia si approcci agli esemplari ceramici in maniera differente rispetto al disegno: l’attenzione è rivolta non più alle singole figurazioni e quindi al mito rappresentato, ma al vaso nel suo insieme, in ritratti in cui le scene dipinte non sono più facilmente leggibili[63].
35Negli anni ’60 del Novecento venne inaugurato un nuovo e importante corso nella ricerca dedicata alla ceramica magnogreca figurata, capeggiato da Arthur D. Trendall, in cui alla visione autoptica dei manufatti si affiancava la fotografia come strumento di indagine e classificazione. I grandi corpora[64] dello studioso neozelandese, come anche le pubblicazioni degli altri autori impegnati nella ricerca su questi temi negli stessi anni, non mancavano di essere affiancati dagli scatti degli esemplari; spesso erano particolari utilizzati per evidenziare le peculiarità stilistiche del ceramografo su cui si concentrava l’analisi[65]. Nella Fototeca del DAI Roma sono registrati in data 18 marzo 1971 sette scatti in bianco e nero del cratere di Archemoros, che immortalano per intero i lati A e B, i particolari delle due scene principali, il collo del lato A e un’ansa con mascherone (Fig. 19. 20)[66], direttamente commissionati e realizzati dal DAI al MANN. Con l’impiego della fotografia a colori nelle grandi pubblicazioni di significativo impegno scientifico, economico e divulgativo, che negli anni ’80 e ’90 furono dedicate alla Magna Grecia[67], si restituirono ai vasi forme e colori, evidenziandone la complessità materica e figurativa in linea con la nuova stagione della ricerca.
Ringraziamenti
36Questo articolo è il frutto di una borsa di ricerca condotta presso il DAI Roma: ringrazio il Direttore Prof. Ortwin Dally e il Secondo Direttore Dr. Norbert Zimmermann per l’importante possibilità scientifica offertami. Sono grata per le fondamentali indicazioni e per il confronto sulle diverse problematiche a Valeria Capobianco (Archivio Storico del DAI Roma) e a Daria Lanzuolo (Fototeca del DAI Roma). Un sentito ringraziamento ad Andrea Milanese, Angela Luppino e Ruggero Ferrajoli (Archivio Storico del MANN) per l’amicale supporto nella ricerca della documentazione del Museo e le importanti informazioni fornitemi. Ringrazio il Direttore del MANN Paolo Giulierini e il personale dell'Archivio Fotografico per la concessione delle immagini.
Abstracts
Abstract
Biographies of Vases
The Vase of Archemoros in the Documentation of the Archive and the Photothek of the German Archaeological Institute in Rome
Federica Giacobello
Since its foundation in 1829, the Institute of Archaeological Correspondence has played a fundamental role in scientific research, publishing news and studies of archaeological finds in its journals. To this end, the Institute relied on members and correspondents – antiquities scholars, collectors, excavators and art dealers – who provided prompt news and descriptions of finds from all over the Italian peninsula. The DAI Rome Historical Archive preserves valuable documentation of the letters sent by correspondents and the drawings produced to document the artefacts, as well as the plates published in Monumenti Inediti, that show a particular interest for the figured pottery. This documentation has made an important contribution in tracing the modern biography of the 'Vaso di Archemoros', apulian crater discovered in Ruvo di Puglia in 1834, that became part of the collection of the Real Museo Borbonico di Napoli.
Keywords
History of Archaeology, Instituto di Corrispondenza Archeologica, Ruvo, Archemoros, Apulian Pottery, Real Museo Borbonico, Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Il Vaso Archemoros
Ringraziamenti
Abstracts
Fig. 1
MANN. Cratere a volute apulo detto “Vaso di Archemoros”, Pittore di Dario (340–330 a. C. ca.). Lato A: Funerali di Archemoros
Source: Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – foto di Giorgio Albano (inv. 81394)
Fig. 2
MANN. Cratere a volute apulo detto “Vaso di Archemoros”, Pittore di Dario (340–330 a. C. ca.). Lato B: Eracle nel giardino delle Esperidi
Source: Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – foto di Giorgio Albano (inv. 81394)
Fig. 3
MANN. Cratere a volute apulo detto “Vaso di Archemoros”, Pittore di Dario (340–330 a. C. c.a). Collo lato B: tiaso dionisiaco
Source: Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – foto di Giorgio Albano (inv. 81394)
Fig. 4
MANN. Cratere a volute apulo detto “Vaso di Archemoros”, Pittore di Dario (340–330 a. C. c.a). Collo lato A: Enomao insegue Pelope e Ippodamia
Source: Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – foto di Giorgio Albano (inv. 81394)
Fig. 5
MANN. Cratere a volute apulo detto “Vaso di Archemoros”, Pittore di Dario (340–330 a. C. c.a). Piede: figura femminile alata fitomorfa
Source: Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – foto di Federica Giacobello
Fig. 6
Lettera inviata da Giovanni Antonio Lamberti a Emil Braun il 14 novembre 1834
Source: Archivio Storico DAI-Roma, A-II-Lamb-Braun-002
Fig. 7
Disegno a matita della scena raffigurata sul piede del Vaso di Archemoros
Source: Archivio Storico DAI-Roma, D-DAI-ROM-A-VII-65C-055
Fig. 8
Disegno a lucido della scena raffigurata sul piede del Vaso di Archemoros
Source: Archivio Storico DAI-Roma, D-DAI-ROM-A-VII-65C-056
Fig. 9
Lucido della scena raffigurata sul piede del Vaso di Archemoros
Source: Archivio Storico DAI-Roma, D-DAI-ROM-A-VII-65C-057
Fig. 10
Disegno a matita delle scene raffigurate sul collo del Vaso di Archemoros
Source: Archivio Storico DAI-Roma, D-DAI-ROM-A-VII- 65C-059
Fig. 11
Lucido della scena raffigurata sul collo lato B del Vaso di Archemoros
Source: Archivio Storico DAI-Roma, D-DAI-ROM-A-VII-65C-058
Fig. 12
Lucido della scena raffigurata sul collo lato A del Vaso di Archemoros
Source: Archivio Storico DAI-Roma, D-DAI-ROM-A-VII-65C-058
Fig. 13
Disegno della scena raffigurata sul lato A del Vaso di Archemoros
Source: Archivio Storico DAI-Roma, D-DAI-ROM-A-VII-65C-062
Fig. 14
Disegno della scena raffigurata sul lato B del Vaso di Archemoros
Source: Archivio Storico DAI-Roma, D-DAI-ROM-A-VII-65C-060
Fig. 15
Disegno della scena raffigurata sul lato A del Vaso di Archemoros, part. della teoria di animali
Source: Archivio Storico DAI-Roma, D-DAI-ROM-A-VII-65C-062
Fig. 16
Prova d’incisione relativa al lato B del Vaso di Archemoros, opera di Carlo Biondi su disegno di Andrea Russo
Source: Archivio Fotografico MANN, A3_E10.3. Carlo Biondi su disegno di Andrea Russo. Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Fig. 17
Prova d’incisione relativa al lato A del Vaso di Archemoros, opera di Carlo Biondi su disegno di Andrea Russo
Source: Archivio Fotografico MANN, A3_E10.4. Carlo Biondi su disegno di Andrea Russo. Su concessione del Ministero della Cultura - Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Fig. 18
Prova d’incisione relativa al Vaso di Archemoros, realizzata da Raffaele Estevan
Source: Archivio Fotografico MANN, inv. 260625 Raffaele Estevan su disegni di Andrea Russo. Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Fig. 19
Fotografia del Vaso di Archemoros del 1971
Source: Fototeca DAI Roma, D-DAI-ROM-1721_D01
Fig. 20
Fotografia del Vaso di Archemoros del 1971
Source: Fototeca DAI Roma, D-DAI-ROM-1721_D10
Vd. Dècultot 2011; Lehoux 2016. La più ricca raccolta di disegni fu quella creata da Cassiano dal Pozzo, studioso, collezionista e mecenate. L’obiettivo era quello di conoscere il mondo antico attraverso tutte le sue testimonianze, perciò comprendeva non solo rilievi, statue, iscrizioni, ampiamente apprezzati da una consolidata tradizione erudita, ma anche utensili e oggetti d’uso; inclusi nelle arti minori erano i disegni di vasi: vd. Vaiani 2016.
Winckelmann 2003, 329; Bocci Pacini 2012, 42. Importante ruolo nello smantellamento dell’origine etrusca dei vasi fu svolto da Luigi Lanzi, in particolare in “De’ vasi antichi dipinti volgarmente chiamati etruschi” edito nel 1806: vd. Santucci 2010.
Bocci Pacini 2012, 42 s.; Smith 2021, 16 s., a cui si rimanda per l’influenza del Winckelmann nella ricezione dei vasi greci nel XVIII secolo.
Dal 1864 Hamilton iniziò ad acquistare vasi provenienti soprattutto dalle necropoli campane e in qualche anno formò una collezione unica di 730 pezzi provenienti da Nola, Capua, Sant’Agata dei Goti, acquistò la Collezione Porcinari e parte di quella Mastrilli: lo scopo era avere una raccolta vascolare che testimoniasse la pittura dei vasi antichi in maniera esaustiva nella diversità delle forme, pitture e produzioni.
Per i volumi e le vicende relative alla pubblicazione della Collezione Hamilton: Schütze 2022; sulla figura di Sir William Hamilton collezionista vd. Jenkins – Sloan 1996.
L´Archivio raccoglie la documentazione che va dalla fondazione dell`Instituto, divenuto nel 1871 Istituto Archeologico Germanico di Roma, fino all`anno 1944, quando fu chiuso durante la seconda guerra mondiale. Comprende la documentazione grafica prodotta in quell’arco di tempo (disegni, bozze, acquarelli e planimetrie) insieme alle lettere dei primi corrispondenti scientifici (Gelehrtenbriefe). L’archivio digitalizzato è in parte consultabile online: https://arachne.dainst.org/
“Questo Instituto conserva l'impegno assunto fin dal suo nascere di raccogliere le nuove scoperte provenienti dagli scavi operati o dallo studio dei monumenti dell’antichità classica, e relative alle arti, ed alla topografia ed epigrafia antica: archeologica impresa la quale più che altra mai abbisogna di scambievoli rapporti ed ajuti, ed a cui si dà opera mediante la stampa periodica di una serie di Annali, di Memorie e di un Bullettino mensile, o per mezzo di disegni intagliati in rame d'inediti monumenti”. Dal Manifesto dell’Associazione BdI 1842, III.
Sulla figura dei corrispondenti: Milanese 2014, 143, con bibliografia di riferimento.
I Bullettini erano destinati primariamente a dare pronta informazione dei ritrovamenti, mentre negli Annali erano dedicati approfondimenti relativi agli scavi e ai manufatti anche a commento dei disegni pubblicati nei Monumenti. Tali riviste erano distribuite ai membri e ai soci dell’Instituto che pagavano una quota d’iscrizione. Era anche possibile a pagamento avere estratti dei contributi e singole tavole dei “Monumenti Inediti”.
[11]
BdI 1842, 164. Adunanza 11 novembre 1842: “Il nostro Istituto fin da principio fu chiamato con satirica malizia da' suoi detrattori l'Istituto de' vasi, e realmente formano questi monumenti tuttora la parte principale delle nostre occupazioni, non perché si giudichino di minor importanza gli altri rami del sapere archeologico, ma perché essi monumenti più che ogni in altro somministrano erudizione nuova e straniera, e chieggono più che gli altri da più secoli cogniti ed in parte da uomini sommi osservati ed illustrati il nostro più assiduo studio”.
[13]
L’esempio riportato da M. Unger è quello di una lekythos attica a figure nere, disegnata da Raffaele Elefanti e pubblicata negli AdI 1832: Unger 2015, 89.
[14]
Per la giurisdizione in materia e il mercato antiquario napoletano, vd. D’Alconzo 1999; Cassano 2008; Milanese 2014.
[15]
Dubois-Maisonneuve 1817, 22–24, tav. XLIII–XLIV. Nel volume le tavole dipinte erano precedute da singole descrizioni, la provenienza dalla tomba ruvese era indicata in nota; si descriveva brevemente anche il resto del materiale con cui il vaso era associato. Le scene appiattite erano gestite su singoli registri; il volume si concludeva con una tavola dedicata alle forme vascolari.
[17]
Per l’approccio filologico negli studi archeologici ottocenteschi e la nascita della disciplina moderna vd. i contributi in Christ – Monigliano 1988.
[18]
Per la ricomposizione dei contesti ruvesi, si veda Gadaleta 2003; per il corredo della Tomba delle ambre, Giacobello 2017. Lavoro di ricomposizione dei corredi è stato fatto in Montanaro 2007, anche se non sempre attendibili.
[20]
Si vedano in proposito le considerazioni di F. Lissarrague sul Vaso di Pronomos, in Lissarrague 2010, dove l’autore dimostra come la documentazione grafica abbia condizionato l’approccio allo studio del cratere a partire già dalla sua scoperta a Ruvo di Puglia nel 1835.
[21]
MANN, inv. 81394. Heydemann 1872, 584‒591; RVAp II, 496 n. 42; Miti greci 2004, 118 s. n. 99 (M. Lista); Montanaro 2007, 723‒726; Giacobello 2020a (con bibliografia precedente); Giacobello 2020b.
[22]
Per gli aspetti teatrali della scena: Séchan 1967, 340‒366; Trendall – Webster 1971, 91 n. 26; Todisco 2003, 466 s.; Taplin 2007, 211‒214.
[24]
Gli altri due vasi sono l’anfora inv. 81944 (Heydemann 1872, 89‒91; RVAp I, 427 n. 67; Giacobello 2020a, 125‒131 cat. 51, con bibliografia precedente) e la loutrophoros inv. 82268 (Heydemann 1872, 533 s. n. 3233; RVAp I, 500 s. n. 62; Giacobello 2020a, 181‒184 cat. 71, con bibliografia precedente).
[25]
Per il profilo dei due personaggi si rimanda a Milanese 2020, 18 s.
[26]
MANN, Archivio Storico, IV B11, 45 “Vasi antichi figurati con i corrispondenti disegni acquistati da’ Sig.ri Pizzati e Lamberti”; MANN, Archivio Storico, XX B4, 2.40 “Acquisto di dodici vasi italo-greci di proprietà del Signor Lamberti: 11 vasi rinvenuti in Ruvo e 1 in Nola, di proprietà anche del Dottor Pizzati”: Luppino 2020, 34. Per la complessa vicenda d’acquisto da parte del Real Museo Borbonico, si veda Milanese 2014, 150‒152; Milanese 2020.
[28]
Sulla figura del dott. Cav. Antonio Pizzati e sui suoi contatti con l’aristocrazia russa: Milanese 2014, 150 nota 104.
[30]
DAI Roma, Archivio storico, A-II-Lamb-Braun-002, datata Napoli, 14 novembre 1834. < arachne.dainst.org/entity/6993557 >.
[31]
L’Archivio del DAI Roma conserva un registro dei pagamenti dei disegnatori, che si riferisce però ai soli che operavano direttamente per l’Istituto, per le pubblicazioni dei Monumenti Inediti dagli anni 1858–1890.
[32]
Nella monetazione del Regno delle Due Sicilie era chiamato carlino la moneta d’argento da 10 grana. Il grano era taglio monetale del ducato (1 ducato = 100 grana).
[33]
Gerhard 1840, 188 s. n. 10.
[34]
DAI Roma, Archivio Storico, A-II-Lamb-Gerhard-001 <arachne.dainst.org/entity/6996742>
[35]
DAI Roma, Archivio Storico, A II-Lamb-Braun-005 < arachne.dainst.org/entity/6999316 >
[36]
DAI Roma, Archivio Storico, D-DAI-ROM-A-VII-65C-055 < arachne.dainst.org/entity/2848446 >. Le cartelle che custodiscono i disegni dei vasi greci sono state riordinate da Adolf Greifenhagen tra il 1977 e il 1981; a lui si devono i rimandi bibliografici e i numeri d’inventario che si trovano a margine delle tavole.
[37]
DAI Roma, Archivio Storico, D-DAI-ROM-A-VII-65C-056 < arachne.dainst.org/entity/2848447 >
[38]
DAI Roma, Archivio Storico, D-DAI-ROM-A-VII-65C-057 < arachne.dainst.org/entity/2848448 >
[39]
DAI Roma, Archivio Storico, D-DAI-ROM-A-VII-65C-059 < arachne.dainst.org/entity/2848450 >
[40]
Non si esclude che l’integrazione sia frutto del primo restauro e che il Russo volesse in questo modo segnalarne la non autenticità.
[41]
DAI Roma, Archivio Storico, D-DAI-ROM-A-VII-65C-058 < arachne.dainst.org/entity/2848449 >
[42]
DAI Roma, Archivio Storico, rispettivamente D-DAI-ROM-A-VII-65C-062 < arachne.dainst.org/entity/2848453 > D-DAI-ROM-A-VII-65C-061 < arachne.dainst.org/entity/2848452 >
[43]
MANN, Archivio Storico, XX B4, 2.40. Cfr. Milanese 2014, 151.
[44]
MANN, Archivio Storico, IV B11, 45 “Vasi antichi figurati con i corrispondenti disegni acquistati da Sig.ri Pizzati e Lamberti”.
[45]
MANN, Archivio Disegni, A3_E10.3; A3_E10.4.
[46]
Inv. 260625 Per le notizie su Raphael Estevan, intagliatore forse di origine spagnola attivo presso il Real Museo sino al 1851, si veda Nappi 2015, 11 s., a cui si rimanda in generale per l’attività incisoria presso la stamperia borbonica.
[47]
AD-MANN inv. 260625.
[49]
Le officine di restauratori ruvesi furono molto attive in questo periodo e furono artefici di numerosi interventi. Operavano un restauro mimetico che prevedeva l’integrazione delle parti mancanti e la ridipintura a imitazione dell’antico, spesso non di elevata qualità come ebbe modo di lamentare Braun (Braun 1836, 100). Noto e di migliore livello è il lavoro di Aniello Sbani, attivo a Ruvo ma formatosi a Napoli: De Palma 1993; Labellarte 1993, Prisco 2020, 52 nota 5.
[50]
Braun 1835, 194.
[53]
Braun 1835, 202 s.
[54]
In occasione di questo restauro furono staccati i frammenti del restauro precedente e furono riattaccati con la famosa colla forte inventata dal Gargiulo, all’interno vennero applicati i perni di ottone: Luppino 2020, 40–42, che cita la relazione fatta dal Gargiulo a Francesco Avellino, direttore del Museo. Il vaso, sebbene esposto, era infatti in pessime condizioni, come segnalato dal Gargiulo, rischiando di collassare. Si scelse, in linea con l’indirizzo sostenuto dall’Avellino, di non realizzare un restauro mimetico ma di colmare le lacune con integrazioni in argilla non ridipinta: Prisco 2020, 55.
[55]
Sull’assidua frequentazione da parte dei membri dell’Instituto della città campana per visionare i reperti archeologici al Real Museo Borbonico, nelle collezioni e dai mercanti d’arte: Milanese 2014, 143.
[56]
Braun 1835, 193 s.
[58]
Heydemann 1872, 584–591. Nel 1837 negli “Annali Civili del Regno delle due Sicilie” volume XV, fasc. 29 viene pubblicato il disegno del cratere con le scene distribuite correttamente nelle sue diverse parti.
[59]
Nella pubblicazione di Fürtwängler dedicata alla ceramica greca, edita tra il 1904–1932, si preferì ancora utilizzare i disegni dei vasi, integrati direttamente nel testo: Fürtwängler 1904–1932.
[60]
Per l’uso della documentazione fotografica prima della fondazione dell’archivio: Bockmann et al. 2017.
[61]
Archivi Alinari, ACA-F-11300a-0000. DAI Roma, Fototeca, D-DAI-ROM-1721_D07 < arachne.dainst.org/entity/706347 >
[62]
DAI Roma, Fototeca, D-DAI-ROM-1721_D02 datata al 1935 < arachne.dainst.org/entity/706342 > il secondo scatto (D-DAI-ROM-1721_D09 < arachne.dainst.org/entity/706349 >) riporta la didascalia “Vasi pompeiani Museo Napoli” e, in alto, Moscioni, probabilmente riferimento al fotografo Romualdo Moscioni che, però, nel 1934 era già morto; non è inoltre attestata una sua attività al Museo napoletano.
[63]
Per l’impiego della fotografia in bianco e nero in archeologia, vd. I colori dell'archeologia 2009.
[64]
Oltre ai due volumi complessivi RVAp I e RVAp II, ricordo Trendall 1961; Trendall 1967; Trendall 1974.
[65]
Sull’uso della fotografia come medium utilizzato nell’insegnamento della disciplina archeologica, vd. Dally 2021.
[66]
DAI Roma, Fototeca, D-DAI-ROM-1721_D01 < arachne.dainst.org/entity/706341 >; D-DAI-ROM-1721_D05 < arachne.dainst.org/entity/706345 >; D-DAI-ROM-1721_D03 < arachne.dainst.org/entity/706343 >; D-DAI-ROM-1721_D04 < arachne.dainst.org/entity/706344 >; D-DAI-ROM-1721_D06 < arachne.dainst.org/entity/706346 >; D-DAI-ROM-1721_D08 < arachne.dainst.org/entity/706348 >; D-DAI-ROM-1721_D10 < arachne.dainst.org/entity/706350 >.
Bocci Pacini 2012
P. Bocci Pacini, Luigi Lanzi e il suo tradivo interesse per la ceramica antica, in: M. E. Micheli – G. Perini Folesani – A. Santucci (a cura di), 1810–2010. Luigi Lanzi. Archeologo e storico dell’arte, Luigi Lanzi 6 (Montecosaro 2012) 37–50>>
Bockmann et al. 2017
R. Bockmann – P. P. Pasieka – M. Unger, Fotografie vor der Fotothek. Drei Beispiele für den (Nicht-)Gebrauch von Fotografien in den Zeitschriften des Instituto di Corrispondenza Archeologica, RM 123, 2017, 495–544 >>
Braun 1835
E. Braun, La morte di Archemoro. Dipintura d’un vaso fittile già del signor cavaliere Lamberti, acquistato dal Real Museo Borbonico, BdI 1835, 1835 193–203>>
Braun 1836
E. Braun, Gran Vaso di Ruvo a soggetti nuziali, AdI 1836, 1836 99–118>>
Capobianco ‒ Unger 2019
V. Capobianco ‒ M. Unger, La documentazione grafica della pittura etrusca nell’archivio dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, MEFRA [on line] 131, 2, 2019, 1724–2134 >>
Cassano 2008
R. Cassano, Riflessioni sulla storia del collezionismo a Ruvo di Puglia, in: G. Sena Chiesa (a cura di), Vasi, immagini, collezionismo. La collezione di vasi di Intesa Sanpaolo e i nuovi indirizzi di ricerca sulla ceramica greca e magnogreca. Atti delle giornate di studio, Milano 7–8 novembre 2007 (Milano 2008) 79–98>>
Christ – Monigliano 1988
K. Christ – A. Monigliano (a cura di), L’antichità nell‘Ottocento in Italia e Germania (Bologna 1988) >>
Dally 2021
O. Dally, L’archeologia classica in formazione e i suoi media didattici. Dalla seconda metà del XVIII fino all'inizio del XX secolo, in: T. Bartsch – R. Bockmann – P. Pasieka – J. Röll (a cura di.), Faktizität und Gebrauch früher Fotografie – Factuality and Utilization of Early Photography. Internationale Tagung der Fototheken des Deutschen Archäologischen Instituts Rom und der Bibliotheca Hertziana-Max Planck-Institut für Kunstgeschichte, 22–24 März 2017, Beiträge zur Geschichte der Archäologie und der Altertumswissenschaften 3 (Wiesbaden 2021) 317–360 >>
D’Alconzo 1999
P. D’Alconzo, L’anello del re. Tutela del patrimonio storico-artistico nel regno di Napoli (1734–1824) (Firenze 1999)
Dècultot 2011
E. Dècultot, Genèse d’une histoire de l’art par les images. Retour sur l’exposition Musées de papier. L’Antiquité en livres, 1600–1800 (Paris 2010–2011), Anabases 14, 2011, 187–208 https://doi.org/10.4000/anabases.2335 >>>>
De Palma 1993
G. De Palma, Il cratere rubestino del Pittore di Talos tra vecchi e nuovi restauri, BA 78, 1993, 113–117>>
Dubois-Maisonneuve 1817
A. Dubois-Maisonneuve, Introduction a l’étude des vases antiques d'argile peints, vulgairement appelés Etrusques. Accompagnée d'une collection des plus belles formes, ornées de leurs peintures; suivie de planches la plupart inédites pour servir du supplément aux différentes recueils de ces monuments (Paris 1817) >>
Fürtwängler 1904–1932
A. Fürtwängler, Griechische Vasenmalerei. Auswahl hervorragender Vasenbilder (Monaco 1904–1932) >>
Gadaleta 2003
G. Gadaleta, Catalogo dei contesti (vasi italioti e sicelioti), in: L. Todisco (a cura di), La ceramica figurata a soggetto tragico in Magna Grecia e in Sicilia (Roma 2003) 533‒571>>
Gadaleta 2017
G. Gadaleta, I dipinti di Molfetta e la scoperta dei tesori di Ruvo di Puglia, in: F. Giacobello (a cura di), Le ambre della principessa. Storie e archeologia dall’antica terra di Puglia, Catalogo della mostra Vicenza 2017–2018 (Venezia 2017) 53–63>>
Garello ‒ Unger 2014
F. Garello ‒ M. Unger, Virtual Digs. Digitization as Revisitation of Past Finds, Archaeological Review from Cambridge 29, 2, 2014, 103‒128 >>
Gerhard 1829
E. Gerhard, Cenni topografici intorno i vasi italo-greci, BdI 1829, 1829, 161‒176>>
Gerhard 1837
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RM 129/2023 • 422 pages with 311 illustrations
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F. Giacobello, Biografie di vasi. Il Vaso di Archemoros nella documentazione dell’Archivio Storico e della Fototeca dell’Istituto Archeologico Germanico, RM 129, 2023, § 1–36, https://doi.org/10.34780/s769-1eh1s
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