L’ Arco dei Foschi di Berta, l’architettura del Foro di Traiano a nord della Basilica Ulpia e l’iscrizione CIL VI 966 = 31215
1Avvertenza. È possibile che i risultati del presente saggio modifichino, almeno in parte, quelli di altri studi precedenti realizzati da chi scrive. Posto infatti che il percorso della conoscenza è costellato di ripensamenti, appare ragionevole che ciò avvenga nell’ambito di un argomento tanto complesso e arricchito in continuazione da nuovi dati storici e archeologici quale è il tentativo di ricomposizione dell’architettura e delle vicende post-classiche del Foro di Traiano. Questo contributo costituisce un approfondimento e una sorta di ulteriore “stato di avanzamento” della conoscenza rispetto a quanto esposto in Meneghini 2018, dove molti problemi, legati alla presenza di almeno due archi nell’area oggetto delle indagini, non erano stati ancora affrontati con un metodo sufficientemente rigoroso.
1. L’ Arco dei Foschi di Berta
2Per tutti gli studiosi di topografia romana che si sono occupati dell’area intorno alla Colonna di Traiano, uno degli elementi più sfuggenti, incogniti ed evanescenti è sempre stato rappresentato dal cosiddetto Arco dei Foschi di Berta, una presenza mai realmente individuata né posizionata con accettabile precisione[1]. Di esso non è stato possibile sinora neppure accertare la natura se, cioè, si trattasse di un arco-cavalcavia medievale o del rudere di un arco di età antica.
3Secondo Teodoro Amayden, seicentesco autore di una storia manoscritta delle “Famiglie romane nobili”[2], la famiglia dei Foschi di Berta risale almeno alla fine del XII secolo e, ai suoi tempi, era stanziata nel rione Pigna[3]. In precedenza, e fino alla metà del Quattrocento, i Foschi di Berta abitavano nell’area immediatamente a nord della Colonna Traiana, presso il settore meridionale dell’isolato attualmente occupato da Palazzo Valentini (o della Provincia, dal 2015 Città Metropolitana di Roma Capitale), tra questo e l’attuale via di S. Eufemia[4]. Da quello della famiglia prese il nome l’area corrispondente che divenne la “contrada” dei Foschi di Berta o de Fuscis de Berta [5].
4Il religioso Francesco Foschi, in un suo orto collocato in tale contrada, eresse nel 1459 la chiesuola di S. Bernardo che utilizzò come sede della omonima confraternita, da lui fondata nel 1440, e nella quale fu sepolto nel 1468[6]. L’edificio sacro fu detto “S. Bernardo della Compagnia” o ad Columnam Traiani [7]. Alla chiesa era connessa un’abitazione nella quale dimoravano i religiosi che la officiavano e le due fabbriche misuravano complessivamente quattordici canne di lunghezza per quattro di larghezza, pari a 31,27 × 8,93 m (Fig. 1)[8]. Nella pianta di Leonardo Bufalini del 1551 la chiesa, divisa in tre navatelle da quattro colonne, è ben visibile, disposta lungo il fianco dell’isolato, parallelamente al vicolo che la divideva da un piccolo isolato antistante (Fig. 2 A). Una veduta di Etienne Du Pérac mostra l’aspetto degli edifici nel 1577 e indica la chiesa di S. Bernardo con una piccola croce in cima a quello che sembra un minuscolo campanile (Fig. 2 B).
5Progressivamente, le proprietà dei Foschi di Berta nell’area passarono alla confraternita e al monastero di S. Susanna, poi, nel XVI secolo, agli Zambeccari e ai Boncompagni e, nel 1585, al cardinale Michele Bonelli che le inglobò nel suo palazzo[9].
6Un’altra acquaforte di Du Pérac, da “I Vestigi dell’Antichità di Roma” del 1575, mostra più da vicino l’aspetto della piazza nella quale si trovavano la Colonna di Traiano e la chiesa di S. Bernardo (Fig. 3 A). La veduta è ripresa da sud e in essa sono ben visibili gli elementi distintivi dell’area: al centro la Colonna di Traiano e, a sinistra, la chiesa di S. Maria di Loreto munita ancora della sola contro-cupola, che sarà terminata da Giacomo Del Duca nel 1593. Dall’area è già scomparsa, perché demolita probabilmente fra il 1560 e il 1570, la chiesa di S. Nicola de Columna che si trovava ai piedi della Colonna Traiana e che Nicolò Signorili, nella prima metà del Quattrocento, poneva prope arcum Fuscorum de Berta [10]. Vi si riconosce chiaramente, inoltre, la facciata della chiesa di S. Bernardo, che è poi la parete laterale dell’edificio, disposta lungo il filo dell’isolato, con il portale di ingresso collocato all’estremità occidentale e due delle tre finestre arcuate che davano luce all’interno (Fig. 3 A, 1). Circa un terzo della chiesa, assieme all’annessa abitazione dei sacerdoti, è nascosto dai fabbricati di un piccolo isolato di case che fronteggiava quello di Palazzo Bonelli – Valentini in corrispondenza della sua estremità orientale, verso l’attuale via di S. Eufemia. Di questo piccolo isolato purtroppo, nonostante le ricerche, non è mai stata rintracciata una pianta di dettaglio eseguita prima che esso venisse demolito, negli anni centrali del XVIII secolo, per la costruzione della chiesa del SS. Nome di Maria. Disponiamo però di una planimetria con l’ingombro dell’isolato e di parte di quelli circostanti, allegata a un chirografo di Clemente XII dell’11 aprile 1736 che autorizzava la costruzione della nuova chiesa e che è possibile utilizzare per stabilirne la posizione (Fig. 1, 1)[11].
7All’inizio del Settecento e fino alla sua demolizione l’isolato costituiva il Palazzo Panimolle del quale il pontefice, con il suo chirografo, autorizzò l’acquisto per 11573 scudi e 90 baiocchi al fine di abbatterlo per far posto alla chiesa[12]. Questo piccolo isolato era separato da quello di Palazzo Bonelli – Valentini da un vicolo mai raffigurato nel dettaglio nei disegni d’epoca ma solo nelle piante a grande scala e nelle vedute a volo d’uccello (Fig. 2). La sua presenza è intuibile in quella del Du Pérac del 1575 (Fig. 3 A), dove se ne nota l’imbocco e, nel chirografo del 1736, dove è detto “un piccolo vicoletto intermedio” fra la chiesa di S. Bernardo e Palazzo Panimolle mentre, in un rogito del 1589, esso è denominato via nuncupata l’Arco delli Foschi, fornendo un primo, preciso indizio della presenza del monumento che si sta cercando di posizionare[13].
8Dalla rappresentazione del Du Pérac si può desumere un’altra interessante caratteristica dell’isolato che ingloba al suo interno un grande rudere antico in opera laterizia al quale sono appoggiate le abitazioni (Fig. 3 A, 2)[14]. Questo rudere mostra una notevole altezza, una struttura in opera laterizia e la presenza di almeno due nicchie coperte da piattabande in mattoni a una quota piuttosto elevata. Esso è identificabile con certezza con la parete settentrionale della cd. Biblioteca est del Foro di Traiano (Fig. 1 n. 2) e l’immagine conferma la presenza di una seconda fila di nicchie mentre quella inferiore rimane nascosta dalle abitazioni.
9Il rudere sembra fungere da “spina” per una serie di corpi di fabbrica addossati lungo i suoi lati. Al lato settentrionale si appoggia e sporge dall’angolo un’abitazione a un piano, con tetto a falda unica spiovente verso la strada, che costituisce il cantone con la via de “l’Arco delli Foschi” (Fig. 3 A, 3). Lungo il lato meridionale si vedono, in sequenza: una casa a un piano rialzato, collegata al livello stradale da una scala in legno, coperta da un tetto a falda unica spiovente verso sud con un camino, poco dopo l’angolo (Fig. 3 A, 4). Essa è delimitata da un angiporto (Fig. 3 A, 5) che si appoggia a una struttura quadrangolare, alta quasi quanto il rudere e coperta con un tetto a falda unica, spiovente anch’esso verso sud (Fig. 3 A, 6). Quest’ultima potrebbe essere ciò che resta di una torre più antica[15], analogamente a quanto accade nella stessa immagine nell’isolato lungo la parte opposta della piazza dove, a una torre medievale, si sono addossate successivamente costruzioni di ogni genere. Ancora più a destra sporge la sommità di un edificio (Fig. 3 A, 7) identificabile, stavolta con certezza, con una torre e precisamente con quella cosiddetta “dei Colonna”, posta sull’odierno incrocio tra via IV Novembre e via delle Tre Cannelle. L’angiporto 5 delimita l’isolato che confina con un altro edificio (Fig. 3 A, 8), a due piani, del quale in seguito non si troverà più traccia e che potrebbe essere stato abbattuto dai Maestri delle Strade, nella seconda metà del Cinquecento, per aprire o allargare la strada in salita verso Magnanapoli. Di fatto, d’ora in poi, la planimetria dell’isolato da quadrangolare diverrà triangolare-trapezoidale.
10Una veduta posteriore di poco più di quaranta anni, di Aloisio (Alo’) Giovannoli, del 1616, mostra la stessa immagine con i mutamenti legati al massiccio intervento urbanistico del cardinale Michele Bonelli che, negli ultimi anni del Cinquecento, trasformò l’area dei Fori nel quartiere Alessandrino (dal suo soprannome, poiché nativo di Bosco Marengo in provincia di Alessandria), caratterizzato da un’urbanistica e da un’architettura più ordinate e moderne (Fig. 3 B).
11In effetti l’aspetto della veduta di Giovannoli è meno ‘medievale’ della precedente e raffigura la chiesa di S. Maria di Loreto completa di cupola e lanterna, il Palazzo Bonelli già costruito e del quale sono visibili il braccio settentrionale, affacciato su piazza dei SS. Apostoli, e quello orientale, lungo via di S. Eufemia (Fig. 3 n. 9). A destra di quest’ultimo svetta in lontananza il rudere del c.d. Tempio di Serapide, detto volgarmente “Frontespizio di Nerone”, che si trovava quasi sulla sommità del Quirinale e al quale era addossata una sottile torre medievale denominata “Torre Mesa” (Fig. 3 n. 10)[16]. La Colonna Traiana risulta ormai inclusa nel recinto con pareti decorate da nicchie e lesene costruito durante il pontificato di Sisto V (1585–1590) assieme alla statua bronzea di S. Pietro, realizzata da Tommaso Della Porta e Leonardo Sormani, collocata sulla sommità del monumento nel 1587[17].
12Alcune case-botteghe raffigurate nella veduta (Fig. 3 n. 12) cingono ancora il rudere della biblioteca orientale, che continua a svettare sopra i tetti dell’isolato 1 ed è contraddistinto dall’autore con la lettera C (Fig. 3 n. 11) e la definizione: “Basilica Ulpia Volta à Mezzogiorno”, confondendo tra le strutture appartenenti alle Biblioteche e alla Basilica, ovviamente secondo l’embrionale conoscenza dello sviluppo del Foro di Traiano che artisti ed eruditi all’epoca possedevano[18].
13I corpi di fabbrica delle case-botteghe sono gli stessi delle abitazioni più antiche rappresentate da Du Pérac. Si nota infatti come l’edificio in angolo con la via de “l’Arco delli Foschi” e di fronte alla chiesa di S. Bernardo replichi il volume e l’inclinazione del tetto del fabbricato precedente (Fig. 3 A, 3). In sequenza si ritrova l’ipotetica torre (Fig. 3 n. 6) trasformata in una sorta di ‘palazzetto’ a sviluppo verticale su tre piani con finestre (Fig. 3 B, 13), sopra il quale spunta la sommità della torre “dei Colonna”.
14Una veduta di Wilhelm van Nieulandt, firmata da Paul Bril nel 1609 (Fig. 4 A) mostra il dettaglio di questo lato dell’isolato 1 con un punto di vista posto poco più a monte, lungo la via diretta a Magnanapoli. L’immagine, quasi fotografica per la definizione dei particolari, è importante perché conferma, nella sostanza, i volumi dei fabbricati riprodotti pochi anni più tardi dal Giovannoli. Si vedono infatti le tre finestre al primo piano delle case-botteghe (Fig. 3 B, 12) e l’adiacente corpo turriforme (Fig. 3 B, 13) che, purtroppo, a causa del punto di ripresa, nasconde alla vista il rudere della biblioteca orientale del quale, forse, è solo visibile la parte terminale (Fig. 4 A, 1) cui il fabbricato si appoggia. Quest’ultimo è raffigurato in una veduta di vent’anni più tardi, di Giovanni Battista Mercati (1629) (Fig. 4 B), sviluppato in lunghezza per una ulteriore campata e sempre caratterizzato dalla limitata larghezza dovuta alla presenza della muraglia antica che, anche in questo caso, non è visibile nell’immagine, ripresa dallo stesso punto di vista della precedente.
15Alla fine del Seicento l’isolato 1 assunse un aspetto più omogeneo e definitivo e diventò quel Palazzo Panimolle che appare citato nel chirografo del 1736 di Clemente XII, che ne autorizzava l’acquisto per la demolizione propedeutica alla costruzione della nuova chiesa del SS. Nome di Maria (Fig. 5).
16L’isolato è rappresentato, nella sua forma ormai tipicamente triangolare-trapezoidale, in un particolare della mappa di Roma a colori stampata da Carlo Losi nel 1773 (quando era ormai scomparso da circa un trentennio) e basata su quella del 1668 di Matteo Gregorio De Rossi (Fig. 5 A). Qui è anche raffigurata la giusta collocazione planimetrica della chiesa di S. Bernardo della Compagnia, sulla quale è apposta l’indicazione “C. di S. Bernardo 1449” che ne anticipa singolarmente la costruzione di un decennio. L’isolato 1 compare anche nella veduta di Roma a volo d’uccello di Giovanni Battista Falda, del 1676, dove ogni traccia del rudere della Biblioteca è ormai scomparso (Fig. 5.B). Infine, se ne vede un’immagine piuttosto dettagliata in un’altra veduta, ancora del De Rossi, della seconda metà del Seicento, nella quale appare nella sua forma definitiva e a poco più di mezzo secolo dalla demolizione (Fig. 5.C). In quest’ultima raffigurazione appare ancora nel dettaglio la chiesa di S. Bernardo, contrassegnata dal numero 3, e l’imbocco della via de “l’Arco delli Foschi” tra la chiesa stessa e l’isolato 1.
17Nel 1694 la crisi progressiva della Confraternita di S. Bernardo e la proposta di quella del SS. Nome di Maria di subentrare, in forma enfiteutica, nella gestione della chiesa portarono l’anno successivo all’affidamento dell’antico edificio alla nuova Confraternita nata nel 1688, all’indomani della vittoria cristiana contro gli Ottomani che assediavano Vienna (1683)[19]. La piccola chiesa versava in pessime condizioni strutturali a causa del prolungato abbandono e, nel 1695, i confratelli del SS. Nome di Maria vi realizzarono degli importanti lavori di restauro, tra i quali alcune sottofondazioni che portarono alla scoperta dell’iscrizione CIL VI 966 = 31215[20]. La chiesa fu nuovamente officiata nell’agosto di quell’anno ma, nonostante gli interventi e le migliorie, la confraternita, nel 1728, ne decise comunque la demolizione e la costruzione di un nuovo tempio dedicato al SS. Nome di Maria. Quest’ultimo fu completato nel 1750–1751 ed è quello che vediamo ancora oggi.
18Sin qui sono stati esaminati lo sviluppo e la consistenza della contrada dei Foschi di Berta, mentre è opportuno analizzare ora i riferimenti topografici contenuti nei documenti d’archivio che consentono il tentativo di un posizionamento più preciso dell’omonimo arco.
19Un’indicazione preliminare di carattere generale, ma di grande valore topografico, è contenuta in un documento del 1555 che descrive la proprietà del vescovo Pompeo Zambeccari (corrispondente al futuro Palazzo Bonelli – Valentini) e la delimita utilizzando alcuni caposaldi topografici: ante est platea ecclesie Sanctorum Apostolorum, a retro bono d(omini) Dominici de Lenis a duobus lateribus sunt vie publice una que tendit versus ecclesiam Sancte Marie de Loreto et altera que tendit versus Archum de Fuschis (Fig. 6 A)[21]. Lo schema topografico costruito per inquadrare la proprietà è ripetuto in un altro atto del 1551, il passaggio dei beni Zambeccari da Giacomo al figlio Pompeo, nel quale essi sono delimitati analogamente: ante est dicta platea (SS. Apostolorum) a duobus aliis lateribus sunt viae publice una que tendit versus Arcus de Fuschis tam diruto retro sunt bona D(omini) Dominici Madaleni [22]. Qui i notai, come d’uso, delineano il perimetro della proprietà oggetto dell’atto mediante la citazione degli elementi urbanistici posti lungo il suo perimetro: la piazza dei SS. Apostoli a nord, a est la futura via di S. Eufemia che conduce all’Arco dei Foschi, a ovest il futuro vicolo di S. Bernardo che terminava alla chiesa di S. Maria di Loreto e, a sud, le proprietà di Domenico De Lenis o Maddaleni[23]. Appare evidente la convergenza tra la strada diretta all’Arco dei Foschi e la via de “l’Arco delli Foschi”, che indica come il punto d’incontro fra i due tracciati sia inevitabilmente connesso alla presenza del nostro monumento.
20Alcuni documenti d’archivio relativi ad atti notarili indicano genericamente la presenza dell’arco, più o meno in questo punto, descrivendo proprietà che vengono definite prope [24] o “appresso”[25] o “ad/al”[26] Arco, mentre altri sembrano assai più precisi. Un’enfiteusi del 1554 descrive il pessimo stato di conservazione della chiesuola di S. Bernardo e dell’abitazione annessa, collocate prope Arcum de Fuschis e confinanti da un lato con la via publica preceduta da una parva plateola e dall’altro con la casa degli eredi di Mariano De Dossi Della Palma “fisico”[27]. Trent’anni dopo ritroviamo questi eredi in esponenti delle famiglie Valentini e Della Molara che, sposando le figlie di Mariano De Dossi, Francesca ed Emilia, ne avevano acquisito le proprietà e che nel 1584 posero un censo su una delle loro case, posta prope arcum Fuscorum, sull’angolo dell’isolato (qui facit angulum) tra le due vie publicae: quella corrispondente all’attuale via di S. Eufemia e la via de “l’Arco delli Foschi”[28]. Le stesse proprietà, collocate “appresso a l’archo de Foschi”, verranno comprate dal cardinal Bonelli, nel 1588, per ampliare il suo palazzo lungo la moderna via di S. Eufemia[29].
21Nel 1526 due case, “una grande et una picchola”, risultano “sopra” all’arco[30] mentre appare decisivo il contenuto di un atto del 1532, nel quale la casa di Marcello De Palonibus, posta in loco qui communiter dicitur allo Arco delli Foscari, risulta terrineam, solaratam et tectatam cum quodam arcu super viam publicam [31]. Inoltre la casa includeva l’arco o parte di esso (domus intra se dictum arcum de Fuscharis comprehendit) e confinava da un lato con la chiesa di S. Bernardo, dall’altro con una proprietà non identificabile, mentre era delimitato da vie pubbliche sugli altri due lati. Sembra trattarsi della stessa casa d’angolo, seppure non ancora in possesso di Mariano De Dossi.
22L’Arco dei Foschi di Berta era dunque, almeno in parte, inglobato in un’abitazione adiacente alla chiesa di S. Bernardo e doveva trovarsi nella via de “l’Arco delli Foschi”, in uno spazio compreso nell’ultimo tratto di questa, alla confluenza con la via publica proveniente da piazza SS. Apostoli (Fig. 6 A).
23Purtroppo, come del suo aspetto, nulla conosciamo dello stato di conservazione dell’arco se, cioè, esso si sia deteriorato nel tempo e sia magari scomparso, pur rimanendone il ricordo sotto forma di toponimo. Non è impossibile che ciò sia accaduto già nel corso del XVI secolo considerando che il citato atto del 1551 lo definisce “diruto”[32] e che in un documento di sei anni prima si specifica, in riferimento alla strada, in qua erat arcus fusci [33].
24Circoscritta l’area nella quale doveva trovarsi il nostro arco è ora necessario approfondirne i rapporti con la topografia antica per cercare di comprendere se esso può essere considerato parte di una architettura di età romana o un semplice cavalcavia realizzato in età basso-medievale per collegare i due isolati, visto che i dati forniti dal materiale d’archivio non sembrano sufficientemente dirimenti in tal senso.
2. L’architettura del Foro di Traiano a nord della Basilica Ulpia
25Già da un primo sguardo alla sovrapposizione tra topografia antica e moderna appare evidente che l’area dove l’Arco poteva trovarsi corrisponde alla estrema propaggine nord-orientale del Foro di Traiano a ridosso della parete perimetrale della Biblioteca orientale già vista nella figura 1 n. 2 (Fig. 6 B).
26Più precisamente si tratta dei resti di un ambiente, sconosciuti in precedenza e individuati nel corso di indagini condotte negli ultimi decenni, da chi scrive, nei vani sotterranei della chiesa del SS. Nome di Maria[34]. I ruderi fanno parte del Foro poiché l’analisi strutturale indica chiaramente che la loro realizzazione è avvenuta contemporaneamente alla costruzione del muro perimetrale della Biblioteca orientale. Si tratta di due muri ortogonali dei quali uno è costruito in laterizio (Fig. 7 M) e costituisce la parete perimetrale della Biblioteca mentre l’altro è in opera quadrata di blocchi di peperino (Fig. 7 P). Contro il muro P rimane addossata parte di una volta orizzontale in cementizio (sormontata dalla gettata della volta settecentesca) nella quale se ne innestava un’altra, inclinata, che è possibile interpretare come una rampa di scale viste le impronte di gradini che sono ancora visibili, al di sopra di essa, lungo la parete in laterizio (Fig. 7 M). È evidente la contemporaneità dei due muri poiché la cortina laterizia di M si addossa alle testate dei blocchi di P e ne riempie accuratamente gli interstizi, seguendone il profilo. Sebbene P sia di poco antecedente, esso appartiene allo stesso cantiere costruttivo e le due strutture sono state realizzate insieme per costituire un unico edificio. Collocando i due muri su di una planimetria dei sotterranei della chiesa (Fig. 8), risulta che questa è stata fondata, in parte, sulle strutture preesistenti del Foro di Traiano utilizzando, in particolare, la lunga parete di delimitazione nord della Biblioteca orientale (Fig. 1, 2).
27Se si sovrappone alla planimetria la pianta dell’isolato 1 (Fig. 8), pur con tutte le cautele del caso e i relativi margini di esattezza del rilievo realizzato come allegato del chirografo papale del 1736, si visualizza immediatamente che sono queste le strutture poste in corrispondenza della ristretta area ove collocare l’Arco dei Foschi di Berta.
28In posizione speculare alle murature appena descritte, a ridosso cioè della Biblioteca occidentale, si trovano le tracce di una situazione analoga (Fig. 9). Qui la faccia settentrionale del muro perimetrale dell’edificio è visibile grazie a una stretta galleria realizzata nel 1932. Lungo la parete sono evidenti i punti di appoggio dei muri 1, 2 e 3[35], dove restano le impronte dei blocchi delle testate dei muri stessi, predati probabilmente in età post-classica, e i lacerti dei paramenti laterizi che ne seguivano con cura i profili. Nello studio realizzato nel 1982 da Carla Amici furono individuate le tracce di questi muri ma essi vennero interpretati come “speroni ortogonali, probabilmente dei rompitratta”[36]. È probabile che esistesse un quarto muro (n. 4) allineato con la facciata della Biblioteca, la cui presenza oggi non è più verificabile perché il tratto corrispondente di parete perimetrale al quale doveva addossarsi è di restauro. Come mostra chiaramente la pianta, il muro 1, a differenza degli altri, è incassato in uno spigolo formato dalla parete perimetrale della biblioteca e da un ingrossamento della stessa parete che, in questo punto, raggiunge quasi 2,5 m di spessore, formando la fondazione di un vero e proprio pilone. Il sistema sembra concluso dal muro in laterizio 0, sul quale si imposta una volta a botte inclinata che si innesta in un’altra orizzontale, che la Amici ritenne “con ogni probabilità medioevale”[37]. Si tratta dello stesso accorgimento costruttivo riscontrato in corrispondenza dei muri M e P dove, pure, vi è un identico pilone proprio nel punto dove si sta cercando di posizionare l’Arco dei Foschi (Fig. 8). L’analisi di questo sistema strutturale speculare ha già condotto a ipotizzare che esso costituisse l’ossatura di una coppia di scaloni convergenti (C–C1), larghi circa 5,7 m, che permettevano di salire ai matronei della Basilica Ulpia direttamente dal piano stradale esterno a nord del Foro (Fig. 10 A)[38]. Le rampe erano sostenute, come in molti altri esempi nel mondo romano, da una serie continua di volte, orizzontali e inclinate, impostate sui muri lunghi di gabbia e su setti equidistanti che, nel nostro caso, sono identificabili con le strutture in opera quadrata 1–4 e P. I muri di gabbia invece sono costituiti dalla parete perimetrale settentrionale delle biblioteche e dal muro f5, le cui fondazioni sono state viste solo nel settore immediatamente a nord della Colonna Traiana ma che, sicuramente, proseguiva costituendo l’elemento settentrionale di appoggio di tutto il sistema (Fig. 8. 9). I piloni individuati all’inizio delle scalinate dovevano riflettersi specularmente sul muro f5, andando a costituire le robuste basi per due accessi agli scaloni che sembra naturale, visto il tipo di struttura, identificare con due archi o porte monumentali. Non si tratta naturalmente di archi di trionfo ma di accessi monumentalizzati agli scaloni, maggiormente necessari ove si consideri l’eventuale presenza di una loro copertura con una sequenza di volte a botte che, in corrispondenza della prima rampa, doveva poggiare contro un elemento architettonico di adeguate dimensioni (Fig. 10.B).
29Tale copertura, inoltre, condiziona inevitabilmente l’architettura del cortile della Colonna Traiana, dove è difficile pensare che l’uscita dagli scaloni immettesse in un terrazzo scoperto. Un sistema del genere non può che prevedere la presenza di un secondo ordine del portico del cortile per offrire la necessaria copertura sino al matroneo della Basilica Ulpia che, tra l’altro, sarebbe stato raggiungibile in questo modo senza l’ulteriore gradinata di raccordo prevista da Carla Amici[39].
30Si è dunque verificato come, nell’area circoscritta dalle fonti d’archivio per il possibile posizionamento dell’Arco dei Foschi di Berta, dovesse trovarsi in antico un arco o comunque un accesso monumentale al Foro di Traiano. È necessario mettere in evidenza questa caratteristica per non generare equivoci, dal momento che nell’area a nord della Colonna di Traiano, in corrispondenza della facciata meridionale di Palazzo Bonelli – Valentini, è stata già proposta da Eugenio la Rocca la presenza dell’arco trionfale di Traiano Partico[40]. L’esistenza di un arco antico, proprio in questo punto, condiziona fortemente, come è ovvio, il tentativo di identificazione di quello dei Foschi e la possibilità che quest’ultimo fosse un semplice arco-cavalcavia medioevale sembra allontanarsi.
3. L’iscrizione CIL VI 966 = 31215
31Nel 1695, come si è già anticipato, fu trovata, in uno scavo di sottofondazione sotto la piccola chiesa di S. Bernardo, l’epigrafe CIL VI 966 (Fig. 1, **; 11). L’iscrizione mutila, che misurava 220 × 107 cm con lettere cave (per l’inserimento di caratteri in bronzo dorato) alte da 15 a 16 cm, venne murata nella Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani, dove furono realizzate alcune sommarie integrazioni del testo a pennello che portarono l’insieme a una larghezza di 3.77 m, e fu più tardi pubblicata, appunto, nel CIL[41]. Nello stesso volume del Corpus, l’Addendum integrativo di Theodor Mommsen a pagina 841 e la nota di Christian Hülsen del 1902 (n. 31215), permisero di completarne il testo e la lettura, oltre a formulare l’ipotesi dell’esistenza di due esemplari dell’iscrizione. Tale ipotesi si basava su un disegno di Sallustio Peruzzi[42], nel quale, intorno alla metà del XVI secolo, l’artista aveva delineato due frammenti di un’iscrizione “dell’arco di Traiano in foro”, il testo di uno dei quali risultava analogo e in parte sovrapponibile a quello di CIL VI 966. Il Peruzzi corredò i suoi disegni anche delle misure, tra cui quelle delle lettere che risultavano alte circa 16 cm. Quel che è più importante, però, è che i reperti venivano definiti come facenti parte di un arco, i resti del quale dovevano essere ancora visibili. Esistevano dunque due esemplari dell’iscrizione e la prova è stata fornita dallo scavo degli auditoria di piazza Venezia dove, tra il 2007 e il 2010, è tornato in luce un altro spezzone dell’iscrizione, di 45,5 cm di spessore, con le ultime lettere di destra delle due righe inferiori (Fig. 1, *; 11. 12). Il reperto è stato studiato e pubblicato da Silvia Orlandi[43] che, oltre a riordinare i dati già a disposizione, ne ha tratto delle importanti deduzioni fra le quali: le dimensioni dell’iscrizione originale, ricostruibile in 5,77 × 1,44 m, e la conferma della dedica a Traiano e Plotina invece che a Traiano e Nerva, come già proposto da Amanda Claridge[44]. La Orlandi, però, definisce l’iscrizione come “architrave” mentre, dalla presenza di un foro da grappa al di sotto dello spezzone rinvenuto nell’auditorium di piazza Venezia (Fig. 12), risulta chiaro che non si tratta di un architrave ma di un blocco che poggiava su altri elementi, marmorei o litici, ai quali era sovrapposto e fissato mediante ingrappatura.
32L’epigrafista sottolinea inoltre come già Rodolfo Lanciani ebbe a osservare che l’iscrizione, con i suoi caratteri di ‘appena’ 16 cm di altezza, difficilmente poteva essere attribuita al frontone di un tempio alto più di trenta metri e ipotizza quindi, con singolare lungimiranza, che essa fosse collocata, assieme alla gemella, al di sopra di due accessi simmetrici al cortile della Colonna, oppure lungo o sopra l’architrave del portico del cortile stesso[45].
33Paola Baldassarri, da ultima, sulla base della sua identificazione arbitraria del c.d. Tempio di Serapide sul Quirinale, visibile nell’immagine di A. Giovannoli del 1616, con l’Arco dei Foschi di Berta, colloca l’iscrizione su questo stesso monumento che interpreta come accesso al temenos del tempio da lei ipotizzato, lungo l’attuale via di S. Eufemia, e ne corregge le misure a 5,95 × 1,33 m[46].
34Sallustio Peruzzi, in un altro foglio ritenuto contemporaneo a quello dove sono raffigurati i due frammenti di iscrizione dell’arco di Traiano in foro, realizzò due schizzi ricostruttivi della pianta del Foro di Traiano[47]. In entrambi egli ricostruisce correttamente le cosiddette Biblioteche, ai lati della Colonna di Traiano, e alle estremità del lato settentrionale di esse colloca due ingressi con coppie di colonne (Fig. 13 A. B). Per un maggiore dettaglio l’artista delineò, nello stesso foglio, anche un abbozzo prospettico ricostruttivo del complesso a ovest della Colonna che vi è appena indicata con pochi tratti verticali. Alle sue spalle appare la Biblioteca occidentale e, in corrispondenza dell’angolo di essa, il Peruzzi disegna un piccolo arco congiunto alla parete dell’edificio principale da una volta appena accennata (la copertura della scala) (Fig. 13 C). Evidentemente l’artista si basava su di una situazione che, come abbiamo sin qui verificato, ai suoi tempi doveva essere ancora in parte visibile quanto alle testimonianze superstiti dell’architettura di questa parte del Foro di Traiano. Il quadro ricostruttivo di Sallustio Peruzzi coincide perfettamente con l’evidenza archeologica attualmente disponibile confermando la presenza di un arco in corrispondenza dell’angolo esterno di ciascuna delle pareti perimetrali settentrionali delle c.d. Biblioteche (Fig. 10). Quello orientale di questi due archi si trova esattamente nel punto ove convergono i risultati dell’analisi delle strutture sinora rinvenute e le indicazioni fornite dai dati d’archivio ovvero la prima rampa dello scalone C1, sotto la chiesa del SS. Nome di Maria (Fig. 1. 6. 8). Appare dunque conseguenziale identificare l’arco del quale esistono le tracce sopra questa prima rampa con l’Arco dei Foschi di Berta oltre che con quello di Traiano in foro, sul quale al tempo di Sallustio Peruzzi ancora si leggevano parti dell’iscrizione CIL VI 966 considerando anche la singolare identità fra le misure di quest’ultima (largh. 5,77 m secondo la Orlandi e 5,95 m secondo la Baldassarri) e la larghezza della scalinata (5,60 m ma sino a 7,20–7,30 m comprendendo l’intero corpo di fabbrica[48]). Tutto ciò sembra inoltre confermare che l’Arco non era un semplice cavalcavia medievale ma il rudere di un edificio romano che, in origine, faceva parte del Foro di Traiano.
35Nella lastra 29 della Forma Urbis severiana, il frammento g si trova proprio in corrispondenza della base dello scalone C e raffigura tre colonne, probabilmente assieme a una quarta non più visibile, disposte in quadrato (Fig. 14). È possibile che la pianta marmorea rappresenti, in questo punto, l’apparato di accesso allo scalone che poteva essere munito di colonne o di una copertura sostenuta da colonne davanti a sé. In passato la raffigurazione di queste colonne, assieme a quelle disegnate dal copista cinquecentesco della pianta marmorea nella sua integrazione del perduto frammento a della stessa lastra, è stata utilizzata per provare l’esistenza di un colonnato addossato lungo l’esterno del muro f5[49]. Per quanto riguarda l’opera integrativa del copista c’è però da rilevare che, nel delineare il frammento a, egli ha indubbiamente interpretato arbitrariamente segni che, forse, non leggeva correttamente. La sua riproduzione del frammento mostra infatti alcune differenze importanti rispetto alla realtà, come le colonne dei propilei della Basilica Ulpia, che proseguono nella piazza del Foro sotto forma di file di punti, o i fabbricati dei Mercati di Traiano, a nord-est della Basilica stessa, che mostrano una planimetria completamente diversa da quella del monumento che ci è pervenuto[50].
36Un’ulteriore riflessione di Silvia Orlandi appare di grande importanza e riguarda una delle ‘memorie’ di Flaminio Vacca[51]. In questo breve ricordo il Vacca dice di aver visto scavare, sicuramente negli anni 1574–1576, quando Prospero Boccapaduli era Maestro delle Strade[52], i resti di un arco “trionfale” “intorno alla Colonna Trajana dalla banda, dove si dice Spolia Cristo”. Tale indicazione venne interpretata da Rodolfo Lanciani come un preciso indizio della presenza di un arco trionfale di accesso al Foro di Traiano presso la chiesa di S. Maria in Campo Carleo, detta Spoglia Cristo, che si trovava presso il centro del limite meridionale della piazza del Foro stesso[53]. Secondo la Orlandi, invece, il riferimento topografico deve essere inteso in senso lato come semplice indicazione di direzione, ossia: “intorno alla Colonna di Traiano, dalla (parte della) banda, dove si dice Spolia Cristo”. In tal senso la frase di Flaminio Vacca trova riscontro in alcuni atti notarili contemporanei che inquadrano il Palazzo Bonelli – Valentini (allora ancora Zambeccari) delimitandolo a nordest, lungo il tracciato della attuale via di S. Eufemia, mediante una via que tendit… ad ecclesiam S.te Marie in Campo Carleo alias Spoglia Christo o … via publica tendens… ad ecclesiam nuncupatam Spolia Christo [54]. Le parole di Flaminio Vacca sembrano confermare l’identificazione e la posizione di questo arco che coinciderebbe con quello dei Foschi di Berta e la notizia assume maggiore importanza se si considera che, assieme ai suoi resti, furono rinvenuti anche reperti importanti, come alcune statue di prigionieri Daci o il bassorilievo con “Traiano a cavallo”, identificato con un reperto scultoreo conservato a Villa Medici[55].
37Per riassumere: i due archi posti alle basi degli scaloni C–C1 dovevano fungere da portali di accesso alle rampe che, superando un dislivello di 15,36 m, conducevano al piano superiore del cortile della Colonna, nel quale dovevano trovarsi le sepolture di Traiano e Plotina. Dei due archi, quello di accesso allo scalone orientale C1 o, almeno, ciò che ne restava, venne inglobato dalle abitazioni basso-medievali affacciate lungo il tratto centrale del vicolo divisorio tra l’isolato poi occupato da Palazzo Bonelli – Valentini e l’isolato 1 e fu denominato “Arco dei Foschi di Berta” (Fig. 15). La coincidenza tra la larghezza della scala e le misure dell’iscrizione CIL VI 966 fanno ipotizzare che quest’ultima campeggiasse in due copie, una per ciascun prospetto dei due archi, e che, nel caso di quello dei Foschi, fosse rimasta in posto, forse solo parzialmente, almeno sino a quando venne copiata da Sallustio Peruzzi nei decenni centrali del Cinquecento.
38È possibile immaginare quale fosse il rapporto fra l’arco e i circostanti livelli stradali visto che conosciamo la quota della via lastricata da Sisto V che costituiva il tratto terminale di via di S. Eufemia, in corrispondenza della facciata di Palazzo Roccagiovine. Una lunga porzione di quel selciato (realizzato con basoli romani riadoperati) fu rinvenuta da Guglielmo Gatti nel 1934 a una quota inferiore di circa 1 m rispetto a quella attuale, di +21,5–21,6 m s.l.m.[56]. Nel secolo XVI il livello medio della viabilità lungo il lato meridionale dell’isolato 1 doveva aggirarsi sui 20,5–20,6 m s.l.m. e non doveva differire di molto sul lato opposto, lungo la via de “l’Arco delli Foschi” (fig. 15). Nel punto più stretto di quest’ultima, i resti dell’arco dovevano essere inglobati dai due fronti contrapposti di abitazioni, anche se non conosciamo il reale stato di conservazione della struttura oltre che il suo vero aspetto.
39Abbiamo notizia del danneggiamento di un arcus Traiani imperatoris, nel marzo del 1526, a causa di un indebito intervento demolitorio dei Maestri delle Strade[57]. Questo arco si trovava in capiti regionis Montium, in un punto genericamente collocabile lungo la facciata meridionale dell’isolato di Palazzo Bonelli – Valentini, come mi sembra di aver sufficientemente dimostrato in una precedente pubblicazione[58], e potrebbe ora essere identificato proprio con l’Arco dei Foschi di Berta. I danni alla struttura, però, non dovettero essere così esiziali se in un atto del giugno dello stesso anno esso recava ancora due abitazioni ‘sopra’ di sé[59].
40Appare evidente l’importanza che la collocazione dell’iscrizione CIL VI 966 sui due archi può avere dal punto di vista topografico e architettonico.
41Senza voler riaprire un contraddittorio ampiamente dibattuto in altra sede[60], basterebbe ricordare, in tal senso, quanto precisato nel passo dell’Historia Augusta che narra come Adriano, tra i tanti edifici da lui costruiti o ricostruiti a Roma, avesse apposto il suo nome solo sul tempio del divo Traiano[61].
42Nella complessa topografia dell’area a nord della Basilica Ulpia (Fig. 16) sembra dunque ora possibile non solo identificare e posizionare l’evanescente Arco dei Foschi di Berta ma anche collocare la coppia di esemplari dell’iscrizione CIL VI 966 nell’ambito delle strutture che, come il cortile della Colonna e i due edifici contrapposti ai suoi lati, furono completati da Adriano dopo la morte di Traiano e Plotina[62].
Abstracts
Abstract
The Arch of the Foschi di Berta, the Architecture of the Forum of Trajan, North of the Basilica Ulpia and the Inscription CIL VI 966 = 31215
For scholars dealing with the area around Trajan's Column, one of the most elusive elements has always been the so-called Arco dei Foschi di Berta. The monument, whose precise position and appearance are unknown, appears in some notarial documents of the late Middle Ages and the Renaissance. From these, it is possible to place it in the medieval and modern topography of the area and verify its relationship with the architecture of the Forum of Trajan. The Arch turns out to be one of two architectural elements of this type through which one accessed the pair of monumental staircases positioned against the northern side of the so-called Libraries. Through these staircases one could reach the upper floor of the arcades of the courtyard of Trajan's Column and the Basilica Ulpia. The double inscription CIL VI, 966 = 31215 probably decorated the attics of the two arches.
Keywords
Arch, Foschi di Berta, Forum, Trajan, Topography, Architecture

1. L’ Arco dei Foschi di Berta
2. L’architettura del Foro di Traiano a nord della Basilica Ulpia
3. L’iscrizione CIL VI 966 = 31215
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