Staffe e calessi nell’Etruria orientalizzante
Alcune osservazioni e nuove ipotesi di lettura
1Negli ultimi anni si è consolidata l’ipotesi che i veicoli etruschi fossero principalmente di due tipi, entrambi a doppio tiro: un carro veloce (currus), provvisto di ruote indipendenti con conducente in piedi, e un carro lento con conducente seduto, definito variamente calesse o carpentum in base alla presenza di alcuni elementi non sempre di chiara interpretazione[1]. Di questo secondo tipo di veicolo – un calesse da trasporto o da viaggio oppure a esclusivo uso cerimoniale – sono state individuate due varianti, una con ruote libere (tipo “Sirolo”)[2], l’altra con il c.d. “asse rotante”, ovvero con ruote solidali all’asse. La variabilità di questi veicoli lenti è determinata anche dalla configurazione di altre parti, come la forma del timone e la sua terminazione, la costruzione della cassa (capsa) o il posizionamento della seduta, più o meno avanzata.
2Per l’individuazione del tipo ad asse rotante, fondamentale è stato il riconoscimento delle staffe metalliche, destinate a connettere l’asse al pianale del carro permettendone la rotazione[3]. In alcuni contesti, poi, un particolare elemento cavo (c.d. “dado a testa quadra”) è stato interpretato come la calotta terminale posta a bloccare la ruota nell’incastro dell’asse, garantendo la rotazione solidale[4]. Nonostante queste importanti acquisizioni, è ancora grande l’incertezza nei tentativi di ricostruzione di molti veicoli scoperti in vari contesti dell’Etruria e non solo, soprattutto in tutti quei casi dove l’assenza di dati sull’originale posizionamento delle varie parti del veicolo e dei finimenti complica o impedisce una sicura interpretazione.
3Lo studio condotto sui reperti dell’eccezionale complesso funerario scoperto in località Sassi Grossi, vicino a Roselle – un grande circolo con due fosse che, pur a uno stadio preliminare delle ricerche, si pone come punto di svolta nello studio sulla poleogenesi di Roselle e sul ruolo di Vetulonia nelle più antiche vicende del territorio maremmano[5] – ha permesso di individuare i frammenti di due coppie di cerchioni in ferro, riferibili ad altrettanti veicoli. Una prima coppia proviene dal gruppo dei reperti riconducibili alla fossa I, in gran parte sconvolta, ed è riferibile a un currus; ciò appare in linea con la destinazione della fossa a sepoltura di un individuo di sesso maschile di altissimo rango. La seconda coppia, di diametro maggiore, faceva invece parte del corredo della fossa II che, forse, accoglieva una sepoltura femminile. I cerchioni sono stati recuperati assieme a due fibbie ad anello in bronzo, ad alcuni eccezionali morsetti sempre in bronzo rivestiti con una sottile lamina d’argento e a una coppia di staffe di bronzo piegate a U. I contesti, ancora in attesa di uno studio esaustivo, sono stati datati rispettivamente al primo e al secondo quarto avanzato del VII sec. a. C. In linea con le attuali conoscenze sui veicoli etruschi, le due staffe sono state inizialmente presentate da chi scrive come ‘staffe da asse rotante’ e riferite, assieme agli altri elementi prima menzionati, a un calesse; il veicolo sarebbe stato inserito nel corredo probabilmente nell’ambito di quella “ritualizzazione funeraria del costume matrimoniale femminile”[6] tesa a restituire, nella tomba, lo status di donna sposata. Tuttavia, proprio la particolare forma di queste staffe ha fatto nascere, da subito, alcuni dubbi sulla loro effettiva funzione[7]. Ora, grazie a un attento riesame di questi e di altri ritrovamenti simili, è possibile formulare una nuova ipotesi di lettura che contempla l’esistenza di un differente tipo di calesse rispetto a quelli finora conosciuti.
4Già da una prima analisi emerge il carattere di eccezionalità dei due reperti e il relativo isolamento rispetto alle staffe provenienti da altri corredi dell’Etruria e non solo. L’unico confronto stringente è rappresentato dalla coppia, anch’essa in bronzo, proveniente dal Circolo del Monile d’Argento a Vetulonia, dunque dallo stesso ambito territoriale e dal medesimo orizzonte culturale[8]. Per completezza, si elencano di seguito i dettagli delle due coppie di staffe:
Dalla tomba 2, complesso funerario di Sassi Grossi (Roselle, Grosseto)[9]:
N. 1: Staffa A (fig. 1. 2 a)
Bronzo, fusione. Dimensioni: alt. max 18,3 cm; largh. fascia 7,1 cm; sp. 0,4 cm; largh. interna alla piegatura (max) 7,0 cm. Passante delle fibbie: alt. 0,8; 0,7 cm; largh. 2,1; 2,4 cm; sp. cornice 0,6–0,7 cm.
Elemento di sostegno composto da fascia piegata a U collegata, su entrambe i lati, alla terminazione a fibbia da un pannello trapezoidale composto da due verghette a sezione circolare e fascetta centrale (larg. 2,3–2,6 cm). Fibbia con cornice a sezione circolare e passante rettangolare. Sull’esterno della fascia e della fascetta di raccordo, decorazione ottenuta a caldo con coppie di incisioni verticali separate da modanature leggermente bombate; agli angoli della fascia, brevi incisioni orizzontali.
N. 2: Staffa B (fig. 1. 2 b)
Bronzo, fusione. Dimensioni: alt. max 18,3 cm; largh. fascia 7,0 cm; sp. 0,4 cm; largh. interna alla piegatura 7,0 cm. Passante delle fibbie: alt. 0,6–0,7 cm; largh. 2,2–2,3 cm; sp. cornice 0,6–0,7 cm.
Come sopra. Alla piega della fascia, sul lato interno, colatura di bronzo in corrispondenza di una linea di frattura trasversale, limata.
Dal Circolo del Monile d’Argento (Vetulonia, Grosseto)[10]:
N. 3: Staffa A (fig. 3. 4 a)
Museo Archeologico Nazionale di Firenze, inv. 8662. Bronzo, fusione. Dimensioni: alt. max 16,0 cm; largh. fascia 5,1 cm; sp. 0,3 cm (0,55 cm sulle costolature); largh. interna alla piegatura 7,5 cm. Passante delle fibbie: alt. 1,7 cm; largh. 2,3 cm; sp. cornice 1,0 cm.
Elemento di sostegno composto da fascia piegata a U collegata, su entrambe i lati, alla terminazione a fibbia rettangolare, con telaio a sezione circolare e apofisi globulari a ogni vertice. A ogni angolo della fascia, piccolo foro passante (diam. 0,2 cm). Sull’esterno della fascia, ai margini e in posizione centrale, evidenti costolature a profilo triangolare.
N. 4: Staffa B (fig. 3. 4 b)
Museo Archeologico Nazionale di Firenze, inv. 8661. Bronzo, fusione. Dimensioni: alt. max 14,4 cm; largh. fascia 5,1 cm; sp. 0,3 cm (0,55 cm sulle costolature); largh. interna alla piegatura 7,3 cm. Passante delle fibbie: alt. 1,8 cm; largh. 2,4 cm; sp. cornice 1,0 cm.
Come sopra. Alla piegatura, sull’esterno, due lamine di bronzo disposte ciascuna negli spazi compresi tra le costolature e aderenti alla fascia per mezzo di coppie di ribattini. All’interno, teste dei ribattini leggermente schiacciate.
5Le coppie, oltre che dalla datazione, sono accomunate da molteplici aspetti: le dimensioni; il materiale e la tecnica con cui sono realizzate; il ridotto spessore della lamina compreso tra 3 e 4 mm; la piegatura a U chiusa; le terminazioni configurate a fibbia; la superficie esterna decorata; le riparazioni, quest’ultime eseguite su una staffa di ciascuna coppia in corrispondenza della piegatura.
6Molte delle caratteristiche elencate mi sembrano poco compatibili con la supposta funzione di sostegno all’asse rotante di un veicolo. Partendo dalle questioni tecniche, le due coppie sono realizzate in bronzo, lega che garantisce una minor resistenza rispetto al ferro. Tra le numerose staffe riconosciute in vari corredi dell’Etruria e non solo[11], gli esemplari in bronzo sono estremamente rari e sembrano comparire solo a Veio e nel territorio limitrofo[12]; su questi tornerò in seguito. Entrambe le coppie hanno dimensioni inferiori rispetto alla media delle staffe identificate con sicurezza come sostegni dell’asse rotante, sia per la larghezza della fascia metallica che per lo spessore. In vari contesti, oggetti di questo tipo ma di dimensioni contenute sono stati interpretati come staffe da asse rotante ma vedremo più avanti come, per alcuni esemplari, esistano altre possibilità di lettura. Un’ulteriore riflessione tecnica riguarda il rapporto dimensionale con l’asse rotante. Nelle coppie di Sassi Grossi e del Circolo del Monile d’Argento, nonostante lo spazio racchiuso tra i margini di ciascuna staffa consenta il passaggio di un’asse di 7 cm di diametro, di poco inferiore con quanto supposto da Adriana Emiliozzi per i calessi[13], si dovrà tenere conto dello spessore dell’eventuale rivestimento e dei ‘cuscinetti’, ovvero del sistema di cuoio e grasso che, fasciando l’asse, ne garantiva una rotazione con poco attrito. Ne discende che il diametro del supposto asse rotante dovesse essere inferiore. Se si ipotizza un utilizzo del calesse non limitato alla cerimonia funebre e, dunque, alla percorrenza di brevissimi tratti, il dettaglio riveste una notevole importanza. Il sistema ad asse rotante comporta che le ruote siano solidali all’asse; ne deriva che, nella conduzione del carro in curva, la differenza di rotazione tra le due ruote si ripercuote sull’asse. Accettando l’esistenza di questo sistema (su cui restano dubbi legati alla sua effettiva funzionalità), l’asse doveva essere, pertanto, assai resistente e di diametro non troppo ridotto. L’incongruenza con la funzione di sostegno all’asse è ancora più evidente se teniamo conto del minimo spessore della placca (3–4 mm) che, combinato con la qualità della lega, non garantiva un’opportuna resistenza alle sollecitazioni e ai sobbalzi che, dalle ruote, si ripercuotevano su tutto il veicolo e, quindi, ancora sull’asse: ciò è ancora più evidente se si tiene conto della condizione delle strade etrusche, di terra o glareate, comunque con un manto assai sconnesso[14].
7Passando alla forma, si può notare come entrambe le staffe siano ‘chiuse’, ovvero le estremità a fibbia siano tra loro convergenti, fin quasi a toccarsi. Stando alle attuali ricostruzioni e alla tecnica dei veicoli a due e quattro ruote, la giunzione tra l’asse e il pianale è possibile solo con l’impiego di staffe ‘aperte’, con vincoli distanti tra loro[15]. Perfettamente in linea con questo sistema sono le due staffe del calesse della tomba A di Casale Marittimo, per le quali Adriana Emiliozzi ha proposto una ricostruzione del funzionamento (Fig. 5)[16]. Come è stato recentemente supposto a proposito del carro funebre e del calesse della tomba Regolini Galassi[17], anche nel caso di staffe con estremità in verticale, esse dovevano mantenere comunque un’apertura utile per abbracciare e stringere le parti in legno che, a loro volta, costituivano la sede dell’asse e sulle quali doveva essere fissato il pianale (Fig. 6). Nell’ipotesi che le staffe fossero poste orizzontalmente, come proposto nella ricostruzione del calesse dal circolo III dell’Acqua Acetosa Laurentina[18], è comunque chiaro che esse dovessero mantenere un’adeguata apertura per consentire l’inserimento delle assi del pianale o della struttura del calesse. In questa direzione è opportuno ricordare come nei carri a quattro ruote di area celtica, fasce simili, aperte, sono destinate al rivestimento degli assi in prossimità dell’inserimento della ruota ma non supportano la rotazione dell’asse che è fisso; la loro forma indica che l’asse era superiormente piatto per consentire il collegamento con il pianale o il telaio del carro[19]. Le staffe di Sassi Grossi e del Circolo del Monile d’Argento sono differenti: la forma a U ‘chiusa’ determina la convergenza in un unico punto del peso di ciò che sostenevano. D’altra parte, è da escludere che la loro particolare piegatura sia il risultato di pressioni e schiacciamenti determinati dalla giacitura; al di là della scarsa elasticità del materiale, determinata anche dalla scelta della tecnica a fusione, e oltre al fatto che il grado di piegatura è identico in tutti gli esemplari, si dovranno considerare le antiche riparazioni. Mentre quella eseguita sulla staffa del Circolo del Monile (n. 4, Fig. 7) adotta un sistema a due lamine opportunamente sagomate e collegate con coppie di ribattini (per la quale si potrebbe immaginare un’eventuale deformazione posteriore alla riparazione), quella da Sassi Grossi (n. 2, Fig. 8) mostra un restauro ottenuto mediante la colatura di uno spessore di bronzo nella parte interna della staffa, poi opportunamente limato. Ciò mi pare renda incontrovertibile la volontà di ripristinare, attraverso la riparazione, l’originale piegatura della staffa.
8In ultimo, riguardo alla decorazione, l’aspetto delle staffe sembra rafforzare il dubbio sulla loro iniziale interpretazione. Entrambe le coppie di staffe esibiscono infatti una decorazione esterna, non apprezzabile se fossero poste sotto al pianale del carro, in una posizione che ne impediva la vista[20]. La stessa riflessione può valere anche per le terminazioni configurate a fibbia, funzionali al passaggio di cinghie o tiranti di cuoio. Si può rilevare come le fibbie della coppia di Sassi Grossi siano analoghe per forma e fattura a quelle di alcuni affibbiagli da cintura di produzione vetuloniese[21], con le quali condividono il profilo leggermente concavo dei montanti e l’assottigliamento ai vertici del telaio. Il confronto può valere anche per quelle del Circolo del Monile che, per le particolari apofisi a globetto, ricordano le fibbie e gli snodi provenienti dal Circolo della Perazzeta a Marsiliana (Fig. 9)[22] o quelle di simili morsi e distanziatori da Verucchio[23], ma richiamano anche le anse con attacchi bilobati di alcuni bacili nuragici noti da Vetulonia[24]. Come già detto riguardo la decorazione delle fasce, anche questi raffinati dettagli risulterebbero superflui prevedendone una collocazione a supporto dell’asse rotante e, dunque, sotto il pianale del carro; nel caso di quelle del Circolo del Monile, le apofisi renderebbero inoltre difficoltosa la perfetta aderenza a eventuali elementi lignei.
9Quanto detto mette in dubbio la pertinenza delle due coppie al sistema asse-ruota di un veicolo, almeno sulla base dei modelli ricostruttivi finora proposti. Nel caso si accettasse una simile funzione, bisognerà allora riflettere sull’architettura dei calessi, evidentemente ben più leggeri e con un sistema di trazione che lasciava in vista le staffe. In alternativa, viene da chiedersi se vi sia qualche altro elemento del calesse o della bardatura a cui esse possano riferirsi. In entrambe le coppie, la lisciatura della superficie interna, ribadita anche dalla limatura delle riparazioni, porta comunque a immaginare lo scorrimento di un elemento cilindrico che tuttavia, come ho cercato di dimostrare, non sembra corrispondere all’asse del veicolo.
10Da un’accurata osservazione delle possibili parti di fornimento[25], un confronto stringente, per forma e dimensione e per la funzione a sostegno di un elemento cilindrico scorrevole, può essere istituito con i c.d. “portastanghe”. Si tratta nello specifico delle due spesse fasce di cuoio, per lo più rinforzate, ripiegate e serrate da una o due fibbie che, poste ai lati del sellino, sostengono le stanghe di vari tipi di veicoli a tiro singolo sia a due che a quattro ruote (Fig. 10. 11)[26]. Le fibbie permettono il passaggio di una cinghia che collega questi elementi al sellino (a sua volta fermato dal sottopancia) consentendo di regolare il grado di aderenza della stanga e, soprattutto, l’altezza rispetto al suolo che, nel caso dei calessi a due ruote, determina il grado di inclinazione del veicolo. Il sistema, conosciuto in numerose varianti determinate dal tipo di traino e dalla posizione del sellino (più o meno arretrato rispetto al garrese), permette di bilanciare il peso della parte anteriore del veicolo che grava sul dorso dell’animale. Oltre la forma, altri elementi sembrano congruenti con questa interpretazione: lo spessore della placca e la scelta della fusione in bronzo sono proporzionati al relativo scorrimento della stanga e a un minore grado di sollecitazione rispetto a quello estremo dell’asse. Il carattere sontuoso di questi elementi troverebbe ragione nella loro posizione sul fianco dell’animale e, dunque, in primo piano rispetto a un osservatore. La decorazione di entrambe le coppie sembra ispirarsi a modelli in cuoio: in questo senso possono essere lette le sottili solcature verticali e la finitura ‘al vivo’ del margine delle fasce di Sassi Grossi; ma anche le costolature in quelle del Circolo del Monile sembrano richiamare le piegature di rinforzo di fasce e corregge di cuoio (Fig. 12)[27]. È inoltre possibile che i portastanghe di Vetulonia e Roselle, in origine, ospitassero all’interno una fascia di cuoio: i due piccoli fori presenti agli angoli negli esemplari dal Circolo del Monile potrebbero infatti assolvere al fissaggio di un rivestimento in cuoio, forse ingrassato[28] e trattenuto con piccoli chiodi o ribattini allo stesso modo di quanto si riscontra negli elmi[29], mentre in quelle da Sassi Grossi i raccordi tra la fibbia e gli angoli della fascia avrebbero permesso opportune legature.
11Verso questa interpretazione restano da superare alcuni ostacoli. In primis, non sono noti – nell’antichità come in epoca moderna –- portastanghe in metallo. Di certo, la maggiore convenienza del cuoio prevale su una soluzione dispendiosa e ricercata (e direi anche delicata, visto le due riparazioni) che, dunque, potrebbe essere stata elaborata esclusivamente per veicoli cerimoniali o di rappresentanza. È inoltre possibile che alcuni esemplari, forse necessari in sistemi differenti di trazione (dorsale o al collo) non siano stati riconosciuti come portastanghe, generando di fatto un vuoto nella documentazione. Volendo tentare una differenziazione nel variegato gruppo degli oggetti oggi identificati come “staffe da asse rotante”, l’ampio corpus presentato da Nicoletta Camerin e Adriana Emiliozzi riporta, come detto, pochissimi esemplari in bronzo[30]. Tra questi, un possibile confronto per quelli maremmani è rappresentato dalle due coppie di placche ricurve in bronzo provenienti dalla tomba V della necropoli della Vaccareccia di Veio (Fig. 13)[31]. Interpretate come staffe da asse rotante, le due coppie si differenziano tra loro per la presenza di una decorazione esterna a cerchielli concentrici. Rispetto agli esemplari settentrionali, le placche sono più sottili e la forma a U non è così rastremata; il passante, inoltre, è un semplice anello. Se ciò pone qualche dubbio sull’interpretazione come portastanghe, il ridotto spessore della lamina di bronzo rende poco probabile un impiego come sostegno per l’asse rotante e, come osservato nei casi precedenti, la decorazione sarebbe priva di finalità estetiche[32].
12Per tutte le restanti staffe in ferro, possibili elementi di discrimine potrebbero essere considerati la piegatura e le dimensioni. La notevole resistenza richiesta per sostenere l’asse rendeva necessarie staffe di spessore e dimensioni notevoli, con un angolo di piegatura opportuno ad accogliere l’asse e adatto al fissaggio al pianale; queste caratteristiche sono facilmente riscontrabili in tutti i casi certi come, ad esempio, il calesse dalla tomba A di Casale Marittimo[33], quello dal Tumulo dei Carri a Populonia[34] o quello dalla tomba XI di Colle del Forno[35]; ma anche nei casi in cui la ricostruzione è più incerta, come per la Tomba del Tridente di Vetulonia[36].
13Non si può dimenticare come l’esistenza di carri con stanghe sia stata supposta da Patrizia von Eles a proposito dei veicoli attestati nel corredo della tomba 89 Lippi di Verucchio[37]. Pur con molti dubbi determinati dallo stato frammentario dei reperti e dall’assenza di confronti[38], l’ipotesi di un terzo carro a tiro singolo deposto nella tomba si basa sulla presenza, nel corredo, di vari elementi cilindrici in bronzo, interpretati dalla studiosa come possibili stanghe (o terminazioni di stanghe) di calesse; sono assenti, in questo caso, i portastanghe. Tuttavia, alla luce delle considerazioni fin qui espresse, merita forse riconsiderare il frammento di ‘terminale’ proveniente dallo stesso gruppo di reperti[39]; invertendo l’orientamento, esso potrebbe rappresentare parte di un elemento a fascia piuttosto simile a quelli del Circolo del Monile con i quali condividerebbe anche la costolatura al margine (Fig. 14). Ammettendo l’esistenza delle stanghe, è probabile che queste – poste in primo piano e ben visibili – potessero ricevere finiture e rivestimenti (fasce, morsetti e terminali) allo stesso modo di quanto si riscontra per i timoni. Sempre a Verucchio, sono forse da leggere in questa direzione i due terminali cilindrici presenti nel corredo della tomba A/1988 della necropoli Lippi, rifiniti con un bottone terminale conico e decorati con una applique configurata a cane[40].
14Il secondo problema, più rilevante del precedente, riguarda il tipo di veicolo. Il riconoscimento dei portastanghe testimonierebbe l’esistenza di un carro a due ruote con tiro singolo, dunque fornito di stanghe laterali. Nonostante l’esistenza di questo tipo di attacco possa sembrare scontata – dato che dal possesso di un solo animale da tiro doveva certamente derivare un opportuno sistema di traino – al momento nessuna raffigurazione in Etruria sembra attestare simili veicoli.
15Un’eccezione è forse la scena della ‘Pietra Zannoni’, monumento ascrivibile a un orizzonte cronologico di poco precedente il contesto di Sassi Grossi e i confronti prima esposti[41]. Nell’accurato bassorilievo, che riproduce il tema assiro del ‘carro regale’[42], merita un’attenta analisi la tecnica del veicolo. Se l’interpretazione delle redini e del pungolo tenuti dal conducente appare chiara, più incerta è l’identificazione del tipo di attacco. Il leggerissimo sottosquadro del timone rispetto alla silhouette dell’animale lascia dubbi sulla volontà dello scalpellino di rendere questa parte in secondo piano; tuttavia, nessun dettaglio tradisce la presenza di un secondo cavallo e si potrebbe forse pensare a un sistema a tiro singolo con stanga laterale, probabilmente raccordata nella parte alta del collo dell’animale, nel punto dove parte una lunga cinghia sottopancia stranamente avanzata rispetto agli anteriori[43].
16Allargando la ricerca, oltre questa testimonianza, episodica e comunque non chiara, e tralasciando le schematiche rappresentazioni dell’arte rupestre sahariana[44], le più antiche e per molto tempo uniche testimonianze di un veicolo fornito di stanghe sembrano limitate alla Cipro dell’età del Ferro. Al museo di Nicosia è conservato un modellino in bronzo di un calesse a tiro singolo (un mulo o un asino piuttosto che un cavallo) fornito di stanghe raccordate a una traversa posta poco più avanti del garrese (Fig. 16); il calesse è condotto da una figura femminile volta di lato di cui non si conserva il finale degli arti superiori, poggiati sulle ginocchia. Il reperto, privo di provenienza, è comunque riconducibile a Cipro per il luogo di conservazione. Gli occhi bulbosi della donna, la fronte bassa, gli zigomi pronunciati, l’acconciatura raccolta in una massa unica dietro la nuca sono chiari indizi di un’arcaicità che riporta il modellino verso la piccola plastica orientalizzante esemplificata da alcune statuette da Idalion[45] e da Kition[46]. Il bronzetto, ricondotto da Jean Spruytte genericamente al VII sec. a. C.[47]. è stato giudicato da Joost H. Crouwel assai più tardo esclusivamente in ragione del sistema di attacco che, secondo lo studioso, non comparirebbe prima del III sec. d. C.[48]: tale conclusione non mi pare tenga conto degli aspetti tecnici e stilistici dell’opera menzionati in precedenza. D’altra parte, la presenza sull’isola di veicoli a tiro singolo forniti di stanghe sembra attestata, nella stessa fase, anche da altre testimonianze come, ad esempio, un frammento di ceramica “Black-on-Red II”[49] al museo di Kouklia (Fig. 17) o un’oinochoe conservata al British Museum[50]. Nonostante l’analisi di Vassos Karageorghis sul frammento di Kouklia giustifichi l’unicità del cavallo con la nota difficoltà nel raffigurare, in questa fase, coppie e quadrighe di cavalli in sovrapposizione, in entrambe i casi è evidente la presenza di due stanghe che, partendo dal carro, si raccordano alla parte alta del collo dell’animale, chiaramente distinte dalle redini tenute dai rispettivi guerrieri. Tra IX e VII sec. a. C. sembrano dunque esistere, sull’isola, veicoli forniti di stanghe collegate a differenti tipi di collare e funzionali al sistema di trazione.
17Il successivo silenzio nel panorama iconografico del mondo antico si interrompe nel corso del II sec. d. C. quando un gran numero di veicoli a due e quattro ruote forniti di stanghe iniziano a essere rappresentati su alcuni monumenti funerari romani[51]. Le fonti ci ricordano nomi e impieghi di questi carri, riconducendone le origini, in molti casi, al mondo celtico[52]: tra questi si ricorda il cisium, sorta di leggero calesse a uno o due posti, a tiro doppio o singolo, per la sua leggerezza preposto a rapidi e brevi spostamenti[53]. Tra II e III sec. d. C. poi, nelle regioni dell’Europa centrale, è raffigurato un sistema di traino, probabilmente più antico, che sfrutta la trazione della spalla dell’animale (Fig. 18). Le stanghe di questi veicoli assumono una particolare forma ricurva verso l’alto e si raccordano a una sorta di collare, in una posizione simile a quella degli antichi modelli ciprioti. Tuttavia, è chiaro che i portastanghe, per la particolare forma a fascia, dovevano rimanere verticali consentendo lo slittamento pressoché orizzontale della stanga. Ad ogni modo, il sistema a stanghe era comunque già noto come testimoniano alcuni bassorilievi raffiguranti carretti trainati da piccoli animali domestici[54], ad esempio quello tirato da una capra nell’urna cineraria di Aquileia[55] datata ancora nel I sec. d. C. (Fig. 19). Nelle terme dei Cisiarii di Ostia si può ammirare il noto mosaico che dà il nome al complesso, datato intorno al 120 d. C. (Fig. 20); a differenza dei modelli transalpini, il carro a quattro ruote, trainato da un asino o da un mulo, è fornito di stanghe dritte e orizzontali. Si tratta di una novità in quanto, per la prima volta, le stanghe non assolvono alla trazione del veicolo, che è invece assicurata da tiranti collegati a una fascia posta sul dorso dell’animale, allo stesso modo dei moderni calessi da passeggio. Come per altri mezzi di trasporto, è facile supporre che questo sistema fosse il frutto di progressive innovazioni per lo più elaborate in ambito rurale e di cui, purtroppo, ignoriamo i vari passaggi.
18Pur ribadendo la difficoltà di vedere nelle coppie di Roselle e Vetulonia staffe da asse rotante, quella di raffinati portastanghe – riferibili a calessi leggeri a tiro singolo – resta al momento un’ipotesi (Fig. 21. 22) sostenuta da alcuni elementi ma non da altri ritrovamenti né da testimonianze iconografiche dirette. In alternativa, è comunque opportuno riflettere sulla meccanica e sui sistemi di traino dei veicoli, forse più variabili rispetto a quanto finora immaginato. Certo, la limitatezza numerica e geografica dei casi concentrati in un periodo preciso (prima metà del VII sec. a. C.) potrebbe offrire qualche sostegno all’ipotesi, magari pensando che il sistema sia stato elaborato a Vetulonia e successivamente abbandonato e relegato a veicoli non rappresentativi. La presenza delle due coppie nell’areale vetuloniese concede qualche ulteriore suggestione: varie esperienze cipriote, con o senza la mediazione dell’ambiente nuragico, riecheggiano tra gli sfarzosi corredi dei prìncipi vetuloniesi che, tra primo e secondo quarto del VII sec. a. C., appaiono ben disposti all’acquisizione di modi e tradizioni di origine levantina. Proprio da Vetulonia proviene un modellino di calesse con coppia di sposi riferibile al primo quarto del secolo; l’esemplare, unicum in Etruria, è in bronzo a fusione ed è stato messo in rapporto con alcuni modellini ciprioti[56]. È forse in questa direzione che deve rivolgersi l’analisi della coppia di sontuose fibbie di bronzo restituite dalla stessa fossa di Sassi Grossi, probabili pendants dei portastanghe (Fig. 23. 24 a). Costituite da uno spesso anello circolare a sezione profilata (ottagonale con angoli smussati), esse sono sormontate da una verghetta spessa e arcuata, anch’essa profilata e ritorta alle estremità, con apofisi ingrossate dal profilo modanato. Le fibbie, così come i portastanghe, non trovano precisi confronti in Etruria. La maggioranza delle fibbie dotate di un fermo, in ferro come in bronzo, è infatti costituita da telai rettangolari o sub-rettangolari schiacciati, sormontati da un occhiello circolare[57], oppure da telai ad anello con verghetta interna decentrata[58] (Fig. 24 c. d). Le fibbie rosellane, simili a quelle ancora oggi utilizzate per l’attacco del sottopancia degli animali da tiro, appaiono concettualmente differenti. Per dimensioni e funzionamento si avvicinano ad alcuni anelli di attacco documentati in area celtica che, tuttavia, presentano un differente sistema di fermo della cinghia di cuoio[59]; per gli stessi motivi, una certa somiglianza è ravvisabile anche con più recenti dischi con passanti riconosciuti nell’area iberica, forse funzionali al collegamento tra la testiera, le redini e il morso[60]. Tuttavia, la forma e i particolari costruttivi trovano una maggiore corrispondenza con alcune fibbie documentate a Cipro già nel Bronzo Finale[61] che, come negli esemplari rosellani, mostrano un grande anello sormontato da un archetto schiacciato, qui desinente in due volute accennate (Fig. 24 b). Il confronto, che potrebbe essere in linea con quanto detto a proposito delle possibili attestazioni di carri a tiro singolo, porta a rivalutare la presenza, nella fossa I di Sassi Grossi, di altri oggetti ispirati a modelli ciprioti, come i calderoni con due anse configurate a doppia maniglia con fiore di loto al centro[62], e offre una possibile chiave di lettura sulla presenza, nel territorio, di questo particolare veicolo.
19Tra la fine dell’VIII e l’ultimo quarto del VII sec. a. C., i corredi delle aristocrazie di Vetulonia rispecchiano un mondo di grande fermento culturale[63] (e forse politico[64]): apporti di varie maestranze specializzate danno vita a un dinamismo produttivo evoluto e raffinato[65], frutto di un variegato patrimonio di esperienze e conoscenze tecniche sviluppate in regioni talvolta anche molto lontane. Senza poter eliminare i molti dubbi che accompagnano l’ipotesi, il calesse a tiro singolo potrebbe dunque rappresentare un modello esotico elaborato nell’ambito dell’artigianato vetuloniese che, come detto, appare una fucina multietnica di idee e modelli a servizio dei vari reguli. Forse in conseguenza della complessità e fragilità del sistema di tiro (di quest’ultima potrebbero esserne una prova le rotture degli esemplari oggetto del contributo), questo particolare calesse, dopo un’iniziale quanto episodica funzione rappresentativa[66], sarebbe stato abbandonato in ragione del ben più stabile e lussuoso sistema a doppio tiro; si sarebbe poi evoluto nel silenzio del mondo rurale, un mondo raramente citato nell’iconografia antica, e che solo nei primi secoli dell’Impero avrebbe conosciuto un’ampia e diffusa rappresentazione.
Ringraziamenti
20Il presente contributo è frutto di un lungo lavoro di analisi delle testimonianze ma anche delle tecniche di aggiogamento dei carri e delle varie tradizioni degli attacchi; desidero, per questo, ringraziare Miranda, mia figlia, che mi ha accompagnato nel mondo dell’equitazione fornendomi inaspettati confronti. Ringrazio Mario Cygielman per gli utili spunti e per avermi coinvolto nello studio dell’eccezionale complesso di Sassi Grossi di Roselle dal quale provengono i reperti che hanno dato avvio a questa ricerca. Un ringraziamento ad Alessandro Naso, Adriano Maggiani, Andrea Gaucci, Elisabetta Mangani, Matteo Milletti per le proficue discussioni e i suggerimenti; a Luca Bombardieri e Stella Diakou per i consigli e il supporto nella ricerca delle testimonianze cipriote. Ringrazio, infine, per la documentazione e le concessioni relative, il Museo Archeologico Nazionale di Firenze (Mario Iozzo), la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo (Matteo Milletti), il Museo Preistorico Etnografico “L. Pigorini” di Roma (Elisabetta Mangani), il Museo Archeologico di Aquileia, il Dipartimento di Antichità di Cipro e il Museo Etnografico “L Zuf” di Vione (BS) (Giancarlo Sembinelli).
Abstracts
Abstract
Brackets and Chariots in the Etruscan Orientalizing
Some Observations and New Hypotheses
During the first half of the 7th century BC, two pairs of U-shaped bronze brackets, both decorated, have been documented in Etruria, at Vetulonia and Roselle. The brackets have been found in two rich graves in which the presence of a cart can be reconstructed. The appearance and technical characteristics of these exemplars lead one to doubt their function as a support for the rotating axle of a vehicle. Considerations on the possible use of the brackets and some comparisons allow one to hypothesise a use as a support of bars; they would thus be elements referable to a single-pull cart equipped with side bars. The absence of iconographic evidence in Etruria leaves the question open, relegating the possible presence of this vehicle to an episodic attempt, later abandoned in favour of the more solid and representative double-pulling system.
Keywords
Estruscans, Wags, Chariots, Brackets, Orientalizing
issue-summary
RM 129/2023 • 422 pages with 311 illustrations
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L. Cappuccini, Staffe e calessi nell’Etruria orientalizzante. Alcune osservazioni e nuove ipotesi di lettura, RM 129, 2023, § 1–20, https://doi.org/10.34780/5ia6-c96t
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